2016-11-28 12:42:00

Istat: in calo la natalità. Demografo Rosina: manca un salto culturale


Ancora un calo della natalità in Italia nel 2015: lo comunica l'Istat specificando che nell'ultimo anno i bambini iscritti all'anagrafe sono 485.780, quasi 17mila in meno rispetto al 2014, e che sommato ai precedenti il dato compone un totale di 91mila bimbi in meno a partire dal 2008. Il calo, attribuibile principalmente alle coppie di genitori entrambi italiani, è dovuto al fatto che le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno numerose e mostrano una propensione sempre più bassa ad avere figli, e coincide con un calo della nuzialità relativo allo stesso periodo (circa 52mila nozze in meno tra il 2008 e il 2015) e la conseguente diminuzione dei nati all’interno del matrimonio. Francesco Gnagni ne ha parlato con il demografo e docente dell'Università Cattolica di Milano Alessandro Rosina:

R. – Sì, le cause sono quelle di un quadro che si definisce in maniera sempre più chiara anche in coerenza con i dati: una difficoltà del sistema del Paese ad incoraggiare i giovani a conquistare una propria autonomia e a formare famiglia. Ricordiamoci che abbiamo il tasso più alto di giovani “Neet” dopo la Grecia – ossia giovani che non studiano né lavorano, perché non riescono ad inserirsi adeguatamente nel mondo del lavoro, e quindi sono anche bloccati nella formazione di nuovi nuclei familiari – e di politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia per le coppie con figli, in particolare con molte coppie che, dopo il primo figlio, con difficoltà riescono ad andare oltre. E il quadro è poi ulteriormente arricchito dal fatto che le coppie che invece vanno oltre il secondo figlio si trovano con rischi di povertà maggiori rispetto alla media degli altri Paesi europei. Quindi c’è una forte difficoltà delle famiglie italiane, conseguenza di una carenza cronica di politiche adeguate, e su cui ha inciso, in maniera molto pesante, la crisi economica.

D. – Ci sono anche altri fattori oltre alla crisi economica: cioè, c’è anche un tema antropologico alla base di queste difficoltà? Un bisogno di riorientarsi con speranza verso il futuro?

R. – Le difficoltà delle politiche familiari che non forniscono strumenti solidi per le proprie scelte di vita, insieme con la crisi economica, non hanno un impatto solo sugli aspetti materiali ma vanno a consolidare, da un lato, un clima di sfiducia rispetto alla possibilità di essere un contesto supportivo rispetto alle proprie scelte; e dall’altro, di scarsa visione di un futuro positivo verso cui tendere, e che quindi porta a un’implosione indifesa sul presente anziché mettersi in campo positivamente per costruire un futuro migliore facendo scelte incoraggianti e virtuose. Quindi è uno scenario di difficoltà che si somma, di incapacità di un welfare attivo che supporti giovani famiglie e giovani coppie, che schiaccia poi i cittadini in difesa, e quindi erode la possibilità di vedere un futuro positivo da costruire. E questa incertezza forse pesa ancora di più degli aspetti materiali in sé.

D. – Da dove si potrebbe iniziare per investire sulle politiche familiari?

R. – Quello che dobbiamo assolutamente fare è cominciare a cambiare il clima culturale italiano. E cioè pensare alle nuove generazioni come bene principale del Paese su cui investire, e non invece pensare che i figli siano semplicemente un costo a carico delle coppie e delle famiglie. Questo passaggio culturale non l’abbiamo ancora fatto, e quindi non abbiamo un contesto supportivo rispetto alle scelte familiari che blocca la possibilità di mettere in campo queste scelte. E per farlo, servono però anche punti di riferimento solidi: ovvero non bastano soluzioni estemporanee, ma servono politiche concrete, realizzate, che continuino nel tempo, e che quindi mettano una base solida e diano anche un segnale consistente di un Paese che ha interesse ad investire anche su una propria crescita solida, investendo sulle nuove generazioni e sulla loro consistenza quantitativa e qualitativa come pilastro per costruire un futuro migliore. Ecco, questo salto qualitativo – questo salto culturale – ancora manca, e queste politiche di supporto solido e continuo nel tempo le stiamo, di fatto, ancora aspettando.








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