2016-11-18 11:55:00

Referendum, Rinella: Sì a un Senato diverso dalla Camera


Mancano poco più di due settimane al referendum costituzionale del 4 dicembre. Tra i punti nodali della riforma, i poteri della Camera, che dovrà svolgere gran parte della funzione legislativa, e il Senato che rappresenterà le autonomie locali. Su questo nuovo assetto istituzionale, Alessandro Guarasci ha sentito il costituzionalista dell’Università Lumsa Angelo Rinella:

R. – Questo è esattamente un Senato che assomiglia in maniera notevole ai Senati o alle seconde Camere dei sistemi federali; e cioè un’assemblea che non rappresenta l’intera collettività nazionale, ma rappresenta le “istanze territoriali”. La Costituzione dice le “istituzioni territoriali”. Allora, sarà senz’altro utile – io trovo – una presenza di questo tipo, perché introdurrà un elemento che a noi è sempre mancato. Forse non si è osservato che questa revisione costituzionale, sulla quale siamo interpellati per il 4 dicembre, non ha visto la partecipazione delle Regioni; eppure si interviene in maniera profonda nel riparto di competenze fra Stato e Regioni. Con il sistema bicamerale differenziato, qualunque modifica della Costituzione richiederà una piena partecipazione delle Regioni e anche, per certi versi, dei Comuni, attraverso i sindaci che saranno in Senato, ogniqualvolta si vorrà porre mano alla Costituzione. Questa è una enorme conquista da parte delle istituzioni territoriali, alla quale forse non si fa caso, e richiama moltissimo i sistemi federali, che si caratterizzano proprio per questo dato. Dunque, per rispondere alla sua domanda, è bene che questo Senato resti con queste funzioni differenziate.

D. – Professore, lei trova altri punti di contatto con le principali democrazie europee in questa riforma?

R. – Il quadro delle fonti legislative prevedrà, se questa riforma dovesse andare in porto, sostanzialmente leggi monocamerali: cioè leggi adottate da una Camera. Questo succede nella stragrande maggioranza delle democrazie occidentali, con la possibilità della seconda Camera di intervenire con un peso variabile a seconda dei contenuti della legge. Dunque, se si tratterà di una legge dal taglio squisitamente politico e dal livello prettamente nazionale, è ovvio che la Camera dei Deputati avrà un primato indiscutibile. Dove invece le questioni dovessero toccare più da vicino gli interessi territoriali, il Senato avrebbe un ruolo di partecipazione rinforzato. Se poi si tratta di mettere mano alla Costituzione o di toccare altre materie, come per esempio la legge elettorale del Senato, allora lì tornerà in vita il bicameralismo paritario o “perfetto” che abbiamo tuttora. Mi pare quindi un ventaglio di opportunità che copre tutte le esigenze.

D. – Professore, per chiudere, i critici di questa riforma guardano con molto sospetto il combinato disposto con la legge elettorale, l’Italicum, perché darebbe troppo potere al governo o alla maggioranza. Con questo assetto istituzionale il pericolo c’è?

R. – Non cambiano i poteri del presidente del Consiglio dei ministri o quelli del Governo: non si interviene a livello costituzionale sulla ripartizione dei poteri tra esecutivo, legislativo e gli altri poteri importanti quali quelli di garanzia. Certamente, sul piano politico, si vuol far sì che, a seguito delle elezioni, si costituisca una maggioranza governante. Quindi 340 seggi sono un numero di poco al di sopra della maggioranza assoluta. Si tratta, con questa prospettiva, di consentire a chi ha avuto la maggioranza di voti di poter governare in maniera stabile. 

 








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