2016-11-13 10:48:00

Accordo tra India e Giappone sul nucleare a scopo civile


Accordo tra India e Giappone sull’uso pacifico di tecnologia nucleare in campo civile. L’intesa è stata siglata venerdì a Tokyo tra il primo ministro nipponico Shinzo Abe e la controparte indiana Narendra Modi. L’India non è firmataria del Trattato di non proliferazione nucleare, ma la collaborazione mira esclusivamente a rilanciare una partnership commerciale e in particolare l’industria nucleare giapponese, dopo il disastro di Fukushima del 2011. Nello stesso quadro sono stati siglati nuovi accordi anche in ambito infrastrutturale, tessile, dei trasporti e dell’esplorazione aerospaziale. Marco Guerra ha intervistato al riguardo Giovanni Battista Andornino, docente di Relazioni internazionali dell’Asia Orientale all’Università di Torino:

R. – L’accordo è stato negoziato nell’arco di un periodo di sei anni. E’ stato un accordo complesso da raggiungere e quindi naturalmente il fatto stesso che sia stato siglato rappresenta un decisivo passo avanti nei rapporti tra questi due Paesi. Io direi di inquadrarlo soprattutto in termini commerciali, perché è evidente che il Giappone ha perseguito questo obiettivo anche e soprattutto per garantirsi uno sbocco commerciale in un Paese come l’India, che pianifica di costruire nell’arco dei prossimi 10-20 anni un numero significativo di nuove centrali nucleari - parliamo di 20 - in un momento in cui, invece, il tema dell’approvvigionamento energetico per fonte nucleare in Giappone è fortemente pregiudicato dalle vicende di Fukushima del 2011. Quindi non avendo più una domanda interna - storicamente molto importante - che potesse offrire l’opportunità alle imprese di trovare acquirenti, queste hanno bisogno di poter mantenere una posizione di leadership a livello mondiale e cercano sbocchi ulteriori: l’India - in questo senso - rappresenta un mercato importante.

D. – L’accordo prevede la fornitura di energia solo per scopi pacifici. Ma il fatto che l’India non abbia firmato il Trattato di non proliferazione suscita diverse preoccupazioni, secondo gli osservatori internazionali: perché?

R. – Sì, sulla stampa giapponese in particolare, la stampa di taglio progressista, questo è uno dei motivi di maggior critica al governo Abe, che è un governo conservatore. Ci si chiede se sia opportuno politicamente sostenere un accordo del genere con un Paese che non aderisce, appunto, al Trattato di non proliferazione. In realtà, l’India ha una posizione, in questo senso, di critica del Trattato stesso: nel senso che è pervenuta alla disponibilità delle tecnologie nucleari dopo la moratoria che ha portato alle potenze nucleari formalizzate e riconosciute, Stati Uniti, Russia, Cina. L’India non ha fatto parte di questo gruppo di testa e quindi non ha mai firmato tale accordo, ma in realtà l’India ha mostrato nei fatti di non aver un atteggiamento proliferatorio e quindi nella sostanza, se non nella forma, di fatto aderisce al senso di quel Trattato. Da questo punto di vista il governo giapponese si è sentito sufficientemente tutelato da poter puntare all’accordo.

D. – Nel quadro geopolitico asiatico che ripercussioni ha questa intesa? Si parla di un contenimento della Cina?

R. – Si tende molto a tracciare sempre una linearità e una consecutività geopolitica anche rispetto ad accordi di carattere commerciale. Io credo - e se guardiamo alle vicende dell’industria giapponese, che non dobbiamo dimenticare che è una delle grandi esperienze industriali del mondo e dell’innovazione delle nuove tecnologie che in quel Paese vengono sviluppate - che il Giappone e le sue aziende si trovino ad affrontare una competizione molto acuta: le imprese cinesi in prima battuta, quelle sudcoreane che in varie Paesi significativi per il Giappone stanno mettendo a segno degli accordi importanti. Quindi non ne farei tanto un tema di contenimento della Cina, in quanto Paese o in quanto potenza, ma ne farei più un discorso di competizione commerciale internazionale: il Giappone vuole continuare a contare e quindi accordi come questo gli consentono di mantenere una leadership e di competere al livello che siamo abituati ad aspettarci dal Giappone.

D. – Dopo il disastro di Fukushima, alcuni commentatori prefigurarono una decisa contrazione del nucleare. Almeno in Asia sembra che questa fonte di energia sia irrinunciabile…

R. – Si tratta di Paesi che crescono a ritmi importanti: parliamo di Paesi che crescono oltre il 6-7-8 per cento anno su anno, in termini di economia aggregata, di Pil. E’ evidente che mantenere una crescita del genere significa anche mantenere una parallela crescita del consumo energetico: e quindi se si cresce in questa maniera o si rende più efficiente il sistema di produzione e approvvigionamento energetico, facendolo si vede comunque un dilatarsi del consumo. Quindi per reggere questo genere di dinamica si ha certamente bisogno di continuare ad utilizzare i combustibili fossili e, se si vuole in qualche misura anche non accentuare oltre una certa soglia - già ampiamente superata peraltro - l’inquinamento nei Paesi, il nucleare al momento è una soluzione che continua ad essere rilevante.








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