2016-11-12 13:50:00

Usa, continuano le proteste anti-Trump: un ferito a Portland


Ennesima notte di proteste anti-Trump negli Stati Uniti: in molte città l’America scende in piazza con lo slogan "Not my president" e a Portland si registra anche un ferito da un colpo di pistola. Intanto, il neoeletto presidente Usa ha illustrato le priorità del suo programma in punti che dovranno essere attuati nei primi 100 giorni. Tra questi: il rilancio dell'occupazione, la lotta all’immigrazione irregolare, la semplificazione fiscale con la deregulation sui prestiti da parte delle banche e la revisione dell’accordo sul clima. Delle sfide che aspettano la nuova presidenza, Roberta Barbi ha parlato con Fulvio Scaglione, già vicedirettore di Famiglia Cristiana:

R. – In campagna elettorale, Donald Trump si è caricato di molti impegni, sia all’interno - cioè verso i cittadini americani - sia all’esterno, verso la cosiddetta “comunità internazionale”. All’interno, credo che l’impegno maggiore sia quello di far ripartire la macchina economica americana attraverso un’iniezione di liberismo.

D. – Uno dei punti chiave è l’immigrazione: si parla dell’espulsione dei circa due milioni di immigrati irregolari che hanno commesso reati; della cancellazione dei visti di ingresso ai Paesi che non si riprendono gli immigrati; e della sospensione dell’immigrazione dai Paesi in conflitto dove c’è terrorismo…

R. – È anche una delle cose di più difficile applicazione, perché uno dei grandi “plus” dell’America contemporanea è stato proprio quello di saper attrarre risorse umane, intelligenze, volontà, energie, proprio un po’ da tutto il mondo; di saperle attrarre anche con la forza delle proprie università e del proprio “melting pot”. Intervenire su questo sarà un grosso problema per Trump, anche se una qualche concessione alle promesse fatte in campagna elettorale dovrà farla. Vedremo se riuscirà a bilanciare qualche provvedimento restrittivo con, invece, una strategia che consenta agli Usa di continuare a essere quel centro di attrazione che tutti conoscono.

D. – Per quanto riguarda le sue posizioni sulla teoria gender?

R. – Ho avuto l’impressione, in questa campagna elettorale, che i riferimenti all’etica e alla bioetica fossero un po’ scontati, fatti un po’ per dovere, un po’ per rispettare anche il proprio personaggio, più attaccato ai valori. Credo che, poi, la strada scelta sarà anche per Trump una strada in fondo mediana.

D. – Un altro punto importante è la semplificazione fiscale, che dovrebbe portare molti vantaggi alla classe media, provata dalla crisi, e la deregulation sui prestiti da parte delle banche…

R. – Questo fa sempre parte di questa ambizione liberale e liberista che, però, poi deve essere anche realizzata. Molti passi nel senso di una maggiore deregulation sono stati fatti, e farne di ulteriori potrebbe sconvolgere degli equilibri che noi è poi facile ricostruire. Non a caso Trump, sulla riforma della sanità – la cosiddetta “salute per tutti”: l’Obamacare – ha già fatto qualche passo indietro: durante la campagna elettorale aveva detto che andava smontato tutto; adesso dice che forse certe parti si possono mantenere, perché comunque lui sa che l’America non è questa macchina automatica per cui a minori tasse corrispondono maggiori iniziative economiche. Fu esattamente la ricetta del “denaro più facile e minori tasse” a innescare, per esempio, nel 2008 la bolla immobiliare che poi ha fatto così tanti disastri.

D. – Ha fatto discutere anche la sua posizione sui cambiamenti climatici, anche se il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, si è detto “fiducioso” sul fatto che non annullerà l’adesione degli Stati Uniti all’accordo sul clima…

R. – Io non credo che Trump prenderà delle iniziative così clamorose. Credo che la denuncia degli accordi sul clima facesse parte, in campagna elettorale, del suo atteggiamento di “America first”, e quindi di lavoratori americani prima di chiunque altro: cerchiamo di perseguire il loro benessere prima di quello di chiunque altro, e anche di quello del Pianeta. Ma andrà abbastanza con i piedi di piombo in questo settore, perché è un settore dove c’è tutto un complesso di relazioni internazionali che vanno comunque curate: ad esempio, sul clima erano stati raggiunti degli accordi con la Cina e abbandonare questi accordi potrebbe creare qualche problema.

D. – Cosa si può dire sulla politica energetica?

R. – La politica energetica degli Stati Uniti in questo momento è una sorta di “unicum” storico, perché per la prima volta nella storia il Paese che consuma più petrolio – gli Stati Uniti – è anche il primo Paese produttore di petrolio al mondo. Dal punto di vista delle forniture energetiche, gli Stati Uniti sono assolutamente al riparo da tutto, e anzi sono in grado di diventare fornitori, cosa che non hanno mai fatto, perché solo di recente è stato abolito il divieto di esportare petrolio. Credo che il tema della politica energetica non sia uno dei temi al primo posto dell’agenda di Donald Trump.








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