2016-11-12 14:27:00

La Battaglia di Mosul: fuga disperata dei civili dalle carneficine


In Iraq, si intensificano gli scontri nelle aree urbane di Mosul e l'Acnur, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, si sta preparando a rispondere, in termini di assistenza, a protezione degli sfollati. Secondo i dati Onu, sono oltre 47mila le persone che sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni dall’inizio dell’attacco congiunto contro la roccaforte dello Stato Islamico, il 17 ottobre scorso. I sei campi già aperti dell’Acnur possono ospitare circa 54mila persone, ma per far fronte ai recenti flussi, l'Agenzia ha aperto un nuovo sito a Hasansham che accoglie oltre 10mila persone. Intanto, le carneficine non sembrano arrestarsi: 40 sono le vittime civili ritrovate nelle ultime ore a Mosul, appese ai lampioni dai jihadisti dell'Is con l’accusa di tradimento. A commentare la situazione don Renato Sacco, coordinatore nazionale Pax Christi, intervistato da Sabrina Spagnoli:

R. – Parlare di Mosul oggi, da una parte è doveroso, dall’altra è difficile, perché come sempre in zone di guerra non è facile avere notizie e soprattutto averne di oggettive. E anche quando vediamo giornalisti che sono lì: come hanno fatto ad arrivare lì? Sono al seguito di una parte e quindi daranno la loro versione. Ciò detto, la situazione credo che sia tragica, soprattutto per i civili. Credo che all’interno della città, quando arriverà la fine, un giorno, troveremo massacri indicibili e tanti morti. Chi riesce a scappare sono centinaia di migliaia di persone che hanno bisogno di tutto, perché scappano per salvare la vita. Quindi è una fuga disperata dalla morte verso la vita: credo che sia un po’ questa la tragedia che vive la città di Ninive, quella che noi oggi chiamiamo “Mosul”.

D. – Quali sono i maggiori pericoli che la popolazione si trova a dover affrontare?

R. – Il primo è quello di essere uccisa. Il primo obiettivo è proprio salvare la vita, perché non c’è rispetto certo per la vita. E poi credo che ci sia bisogno di tutto: non dimentichiamo che da quelle parti fa già freddo, siamo al nord. Ci aiuta un po’ condividere la sofferenza dei nostri terremotati per immaginare chi si trova in una situazione tragicamente peggiore. Quindi c’è bisogno di tutto: la sanità, un minimo di igiene personale, il nutrimento… E soprattutto vincere la paura e trovare un po’ di serenità. Chi arriva nella zona di Erbil è più tranquillo; e pure nella fascia più liberata come Qaraqosh ... Direi che è interessante anche sapere che da Erbil i profughi iracheni hanno mandato delle offerte: circa 20mila euro per i terremotati italiani. E questo rovescia un po’ la nostra lettura: chi ha bisogno, ha il cuore aperto per capire i bisogni degli altri. E quindi se noi pensiamo ai profughi di Mosul, loro pensano alle nostre sofferenze, quelle dei terremotati.

D. – Che tipo di supporto viene fornito agli sfollati?

R. – Il supporto religioso: ho parlato con il patriarca, Louis Sako e lui è stato fin dove si può per dare un segnale di presenza. A Qaraqosh qualche prete è ritornato, anche se il ritorno in questi villaggi intorno a Mosul non è così facile perché ci sono mine, trappole... Non si ritorna così facilmente dopo un terremoto, figuriamoci dopo una cosa del genere! Credo che lì ci sia il lavoro anche di tante associazioni e sempre la speranza di un fiore di pace, di non violenza, come ci ricorda il Papa nel messaggio prossimo di Capodanno. C’è bisogno di tutto: c’è chi sta lavorando con piccole gocce, insieme a loro - con loro - per alleviare le sofferenze di chi ha bisogno: proprio dal sapone a un minimo di dignità e di conforto umano.

D. – Parlando con la popolazione, ovviamente secondo la sua esperienza passata, quali sono i problemi particolari, i disagi?

R. – Il problema è quello di riuscire a guardare al futuro. Queste persone hanno sulle spalle un peso che dura da anni. Adesso sono quelli della Siria che scappano. E quindi è un dolore profondo che dura da tanti anni, e si chiedono quando finirà… Ma nel cuore, nella profondità del proprio animo, del proprio essere, c’è bisogno davvero di pace; c’è bisogno di tornare a sperare, di non perdere la speranza. E soprattutto, “non dimenticateci!”: hanno bisogno di essere ricordati, sicuri che non ci dimentichiamo di loro.








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