Primo incontro, ieri, alla Casa Bianca tra Barack Obama e Donald Trump, dopo le elezioni presidenziali dell’8 novembre. Un colloquio cordiale in cui il Presidente uscente e il suo successore hanno messo l’accento sulla riconciliazione nazionale, dopo una campagna elettorale che ha lacerato l'America. Intanto, però, non si fermano le proteste di piazza contro il tycoon eletto Presidente. Imponenti manifestazioni si sono registrate a New York e Los Angeles, ad Oakland il corteo è degenerato in scontri con le forze dell’ordine, tre i poliziotti feriti. Sull'elezione di Trump e il ruolo dei cattolici in questa nuova fase della vita politica americana, Christopher Wells ha intervistato mons. Joseph E. Kurtz, arcivescovo di Louisville, presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti:
R. – Well, first of all, as we all know, for Catholics, for people of good will,
for people of faith …
Bene, prima di tutto, per noi cattolici, per le persone di buona volontà, per le
persone credenti, un’elezione è un fatto molto, molto importante perché essa supporta
un Paese, una nazione nella ricerca, all’interno di se stessa, del bene comune: del
bene della persona umana, quel bene che rispetti la dignità di ogni persona. L’anno
scorso, quando Papa Francesco è venuto negli Stati Uniti, sia al Congresso, alla Casa
Bianca, e poi a Philadelphia, nell’Incontro mondiale delle famiglie, ha ribadito l’importanza
dell’impegno e del coinvolgimento nel processo politico. Quindi, mentre non appoggiamo
candidati specifici, noi ricerchiamo il bene comune e diamo forza al nostro insegnamento
sociale cattolico e ai principi che indicano la strada verso il bene comune. Quindi,
a elezione conclusa, siamo ansiosi di dare il benvenuto al nostro nuovo presidente
e a tutte le nuove cariche elette, perché siamo anche ansiosi di lavorare a stretto
contatto con il presidente Trump e con le due Camere del Congresso, nella ricerca
di una reale promozione del bene di tutti. La nostra speranza è di poterlo fare –
in quanto Conferenza episcopale – come abbiamo fatto negli ultimi cento anni …
D. – Lei attribuisce un significato particolare al fatto che questa elezione e questa campagna elettorale abbiano avuto luogo proprio nell’Anno della Misericordia?
R. – Well, of course I am glad that we are mentioning the Year of Mercy, which
we are very close …
Certamente sono contento che abbiamo parlato dell’Anno della Misericordia, che siamo
in prossimità di concludere: che grande dono è stato e quanto possiamo attingere ancora
a questo Anno come insegnamento per quanto riguarda il modo in cui ci trattiamo a
vicenda. Io lo dico sempre: la misericordia è l’amore di Dio quando tocca il cuore
di qualcuno che è imperfetto: cioè tutti noi. E questo è vero in modo particolare
nell’arena politica. Non dobbiamo sacrificare le nostre convinzioni, ovviamente; ma
portandole avanti, sempre le proponiamo, mai le imponiamo, cercando
sempre di dare risalto agli aspetti migliori del nostro prossimo. Credo che questo
sia il modo non solo di ricevere la misericordia di Dio, ma di condividerla con i
nostri fratelli e sorelle.
D. – Un suo pensiero specifico per i cattolici americani…
R. – Well, I may say that every election brings an opportunity for a new beginning.
…
Direi che ogni nuova elezione offre in realtà la possibilità di un nuovo inizio. Alcuni
si chiederanno: come sarà possibile che il nostro Paese possa tornare a riconciliarsi
in un’unità che ci consenta di lavorare insieme e adempiere così alla promessa di
quella che potremmo chiamare “un’unità più perfetta”. La speranza di Cristo motiva
le persone credenti a unirsi alle persone di buona volontà e ad altre persone credenti,
di altre fedi, per riuscire a trarre vantaggio – se così vogliamo dire – di questo
"nuovo inizio" e vederlo come una nuova opportunità; un tempo in cui vogliamo cercare
di uscire dalla spirale della violenza per entrare in un’epoca di civiltà nei nostri
dibattiti pubblici.
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