2016-11-09 14:13:00

ActionAid-Ue: progetto contro le mutilazioni genitali femminili


“Dall’Africa all’Europa: combattere le mutilazioni genitali femminili”. Presentato ieri in Italia il progetto After finanziato dal Programma diritti, uguaglianza e cittadinanza dell’Unione Europea per contrastare una pratica aberrante, che lede l’integrità fisica, diffusa ancora oggi in 30 Paesi. Roberta Gisotti ha intervistato Rossana Scaricabarozzi, responsabile del Programma diritti delle donne di ActionAid-Italia, organizzazione umanitaria partner del progetto, che sarà impiantato anche in Spagna, Irlanda, Belgio e Svezia.

R. – La pratica è ancora molto diffusa. Gli ultimi dati del 2016, resi pubblici da Unicef, parlano di 200 milioni di donne, che hanno subito la mutilazione dei genitali a livello globale, e di questo passo da qui al 2050, altri 63 milioni subiranno questa pratica, che lede i diritti fondamentali delle donne e che ha delle conseguenze a livello sanitario molto gravi, soprattutto nel momento del parto. E’ diffusa anche in Europa: nei dati del Parlamento europeo si parla di 500 mila donne almeno, ed è un problema che riguarda anche il nostro Paese.

D. – Ricordiamo che in Italia, le stime ferme a dati però del 2010, indicano 57 mila donne mutilate nei genitali. Dr.ssa Scaricabarozzi, nella lotta al fenomeno si è proceduto finora sul piano legislativo e punitivo, il progetto After punta invece ad altro?

R. – Sì, si riconosce che ormai di mutilazioni genitali femminili si parla molto a livello globale e anche a livello europeo; molti rapporti, anche da parte delle istituzioni europee, hanno contribuito a creare conoscenza sul fenomeno e a valutare anche quello che i governi hanno fatto finora. Molti degli Stati membri dell’Unione Europea, ad esempio, hanno legiferato contro questa pratica. Quello che però viene riconosciuto dalle stesse istituzioni europee è che comunque è ancora inadeguato e insufficientemente finanziato il lavoro di prevenzione che coinvolge direttamente le comunità dei migranti. Ed è proprio su questo aspetto che vogliamo cercare di contribuire attraverso il progetto After.

D. – Lavorare con le comunità dei migranti servirà forse anche a fare emergere il sommerso?

R. – Sicuramente sì, anche se non è lo scopo primario. Le rilevazioni dei dati comunque sono sempre molto difficili: ci sono Centri di ricerca che stanno facendo questo sforzo. Il progetto After, però, mira soprattutto a far prendere coscienza, da parte delle comunità, del fatto che la pratica comunque è una violazione dei diritti umani delle donne e che è necessario fermarla.

D. – Sappiamo che la pratica delle mutilazioni genitali affonda le sue motivazioni in tradizioni culturali e religiose. Come scardinare l’idea che queste possano essere un alibi per fare tutto ciò?

R. – Ovviamente, nell’immaginario comune spesso si tende ad attribuire questa pratica soprattutto all’Islam, ma i dati ci dicono che queste pratiche comunque sono diffuse anche presso Paesi dove la religione dominante è cristiana. Quello che noi cerchiamo di fare è di non stigmatizzare le comunità islamiche su questo, ma cercare di far capire che si tratta di un fenomeno che è di stampo culturale, più che religioso; quindi in realtà la religione non ha molto a che fare con questa pratica. Per questo si è cercato molto, anche a livello globale, di coinvolgere i leader religiosi, per far rigettare questa pratica dagli stessi leader religiosi in modo che venga sfatata la credenza che questa sia una pratica legittimata dalle religioni. E, le discussioni con le comunità sono rivolte proprio a questo obiettivo.








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