2016-11-08 11:53:00

Centro Baobab: migranti con segni di torture nel corpo e nell'anima


Per strada, senza un riparo e in situazioni igienico-sanitarie deprecabili. Sono le condizioni in cui circa 200 migranti si trovano a vivere fuori le porte del Centro di accoglienza di Via Cupa, il Baobab. Ad aggravare ulteriormente le loro condizioni, l’ennesimo sgombero avvenuto alla fine di settembre e l’inverno che avanza. Trovare una soluzione umanamente dignitosa e stabile, è ormai urgente e indispensabile come spiega Alberto Barbieri, coordinatore generale di Medu, Medici per i Diritti Umani, al microfono di Sabrina Spagnoli.

R. – E’ una situazione estremamente precaria che si protrae ormai da mesi. Centinaia di persone arrivano a Roma – sono migranti appena sbarcati: ci sono giovani uomini, ma ci sono anche tante donne, minori, bambini … la nostra clinica mobile nell’ultimo mese ha assistito centinaia di queste persone: uno su tre era minorenne. Quindi, sono queste persone che hanno alle spalle un viaggio terribile attraverso l’Africa subsahariana, attraverso il deserto del Sahara e poi l’inferno della Libia, Centri di detenzione, sequestri, violenze, attraversano il mare con i barconi e con tutti i rischi che questo comporta, poi dal Sud Italia arrivano a Roma. Stiamo parlando di queste persone, estremamente vulnerabili, traumatizzate, che hanno ferite nel fisico e nella psiche. E queste persone a Roma da mesi, direi anzi da anni, non trovano nessun tipo di accoglienza istituzionale; si trovano a vivere in insediamenti precari, in baraccopoli e negli ultimi mesi la situazione è addirittura peggiorata perché parliamo di strada: dopo lo sgombero di Via  Cupa, è stato sempre peggio. La situazione attuale dice che ci sono persone che vivono nei pressi della Stazione Tiburtina in un’area in condizioni indecenti.

 D. – In quali condizioni arrivano i migranti, dal punto di vista sanitario?

 R. – Le posso fare un esempio. Ieri c’è stato un nuovo sbarco a Pozzallo: 300 persone salvate in due diverse operazioni nel Mar Mediterraneo, nel Canale di Sicilia. Il nostro team medico-psicologico le ha assistite. Quasi tutti avevano subìto torture e violenze in Libia; sette persone avevano perso parte della loro famiglia nelle carceri libiche; un ragazzo si presentava con una ferita d’arma da fuoco a una gamba, un altro ragazzo ci ha raccontato di essere stato sette mesi in un carcere libico, picchiato tutti i giorni e costretto ai lavori forzati. Ci ha detto: “Sono pieno di cicatrici sul mio corpo, ma le ferite più grandi le ho nel mio cuore, nella mia anima”. O altre due bambine di 6 e 9 anni , del Mali, arrivate a Pozzallo, che hanno perso la mamma che è morta nel barcone, schiacciata dalle altre persone perché la barca imbarcava acqua e la gente ha iniziato ad agitarsi e a muoversi; questa madre era già sofferente, non è riuscita a muoversi: è rimasta sotto …

 D. – Il fatto di essere considerati transitanti, cosa comporta in termini di assistenza?

 R. – Non ricevere nessun tipo di assistenza istituzionale o quasi. Al contrario di altre città – parliamo ad esempio di Milano o anche di Parigi: il Comune, le istituzioni hanno approntato dei Centri di prima accoglienza e di supporto per i migranti in transito. A Roma non è mai stato impostato niente di tutto ciò, e quindi in questi ultimi anni i flussi dei migranti in transito hanno trovato un’accoglienza in situazioni precarie da parte dei loro connazionali o l’accoglienza che riesce a offrire la società civile: le associazioni, i volontari del Baobab. Ma da parte delle istituzioni, la risposta è sempre stata gravemente insufficiente.

 D. – La creazione di un hub da parte del Comune, ovvero un centro di smistamento, è una valida soluzione per ovviare a questa problematica?

 R. – Noi chiediamo da molto tempo quello che – appunto – è stato attuato in altre città, che è l’istituzione di presidi umanitari di prima accoglienza che diano una prima accoglienza ai migranti in transito, una prima assistenza socio-sanitaria e che forniscano informazioni e orientamento sul diritto d’asilo. Ovviamente, queste strutture devono essere dislocate strategicamente nella città e possibilmente non essere una sola grande struttura ma più strutture di piccole dimensioni. Questo è quello che suggerisce il buon senso. E noi crediamo che sia prima ancora che un segno di civiltà, un semplice segno di umanità per prestare soccorso a persone in questa situazione. La creazione dell’hub: vorremmo capire esattamente di che cosa si tratta. In realtà, le istituzioni hanno già perso, perché hanno perso troppo tempo, sono troppo in ritardo; le precedenti amministrazioni comunali, la prefettura non sono intervenute adeguatamente, ma anche l’attuale è gravemente in ritardo su questo








All the contents on this site are copyrighted ©.