2016-11-05 12:38:00

India. Cristiani di Orissa: martiri senza parrocchia


Scrive all'Aiuto alla Chiesa che Soffre per chiedere aiuto.Questo il disperato tentativo compiuto da un parroco di Kasabasa, padre Santosh Singh, in un villaggio della comunità di Orissa nel nord-est dell'India. Dalle persecuzioni cristiane del 2008 alla gente del posto non è stata ancora garantita sicurezza ne una Chiesa per le proprie celebrazioni religiose. I villaggi cristiani dopo le persecuzioni con obbligo di conversione all’induismo hanno resistito, ma dopo tante violenze ora necessitano di un luogo dove pregare. Clarissa Guerrieri ha intervistato Alessandro Monteduro, presidente Acs - Italia:

R. – Il quadro dell’India è purtroppo – ancora oggi – un quadro con poche luci e moltissime ombre. In India, in questo momento, vi sono circa un miliardo e 250 milioni di abitanti e di questi i cristiani sono solo il 2,5%, e - tra i cristiani - i cattolici sono solo lo 0,8%: quindi parliamo di uno Stato enorme, con una popolazione enorme, in cui la comunità cattolica è al di sotto dell’1%. Incontriamo le comunità cristiane, quando vogliono costruire dei luoghi di preghiera: autorità che non vogliono chiese nelle zone tribali dello Stato dell’Orissa e in questo contesto il tema dello Stato dell’Orissa è quello tra i più difficili. La situazione non è migliorata, è anzi nettamente peggiorata!

D. – Come sono considerati i cristiani indiani?

R. – Da noi sono certamente considerati fratelli nella fede. C’è una tecnica – chiamiamola “tecnica” –una pratica, chiamata “ghar wapsi”, che significa “ritorno a casa”, che consiste nel riportare all’induismo i cristiani e i musulmani. Ci sono degli stipendi per i membri di gruppi ultranazionalista che vengono riconosciti a chi riesce a portare il maggior numero di cristiani o il maggior numero di musulmani all’induismo, alla conversione forzata.

D. – Ci sono progetti per ricostruire qualche chiesa?

R. – Aiuto alla Chiesa che Soffre, in tutte le sue articolazioni mondiali - dico semplicemente un merito del quale sono molto orgoglioso, siamo molto orgogliosi! – nel solo nel 2015 ha fatto giungere aiuti pastorali alla comunità cristiana indiana per oltre 6 milioni e 800 mila euro, per la costruzione di nuove chiese, di cappelle, di seminari, di case parrocchiali; ma anche per la formazione. A proposito delle chiese: Aiuto alla Chiesa che soffre, in questo momento, è impegnata in Italia con tutti i suoi benefattori per cercare di coronare il desiderio di una piccola comunità nello Stato dell’Orissa: la comunità si chiama Kasabasa, il villaggio di Kasabasa. Sono solo 80 le famiglie cattoliche in questo momento a Kasabasa, su una popolazione altrettanto modesta, di appena 500 unità cristiane, la cui presenza è frutto della loro conversione nel 1934 grazie a dei missionari spagnoli. Sono persone povere, non hanno un forte substrato economico e sono estromesse dalla società: sono costrette a pregare e a celebrare le Messe all’aperto. E questo significa che la mattina devono prima controllare le previsioni del tempo per capire se quella Santa Messa si potrà celebrare oppure no. Il villaggio più vicino, dove potrebbero recarsi, è a 6 chilometri di distanza: ma lì non ci sono le autostrade e non ci sono neanche le nostre tradizionali strade provinciali… Lì c’è la giungla!

D. – Qual è il suo appello?

R. – L’appello è quello di tener presente che mentre per noi la domenica mattina è facile, ci rechiamo alla Santa Messa e - diciamo la verità - abbiamo anche la possibilità di poter scegliere fra centinaia di luoghi di preghiera… Lì, no! Lì per celebrare una Santa Messa attualmente si devono affidare veramente alle previsioni del tempo e non hanno la possibilità di scegliere: sotto il sole o sotto la pioggia, la gente guarda il cielo – e come ci ha detto il parroco Santosh Singh di Kasabasa – per sapere se riuscirà a partecipare alla Messa… Io penso che noi non possiamo non considerare che sono tanti i nostri fratelli nella fede - e nello Stato di Orissa in questo caso – che vivono la fede in questo modo. E come facciamo a restare indifferenti?








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