2016-11-04 13:18:00

50 anni fa l'alluvione che devastò la città di Firenze


50 anni fa l’alluvione dell’Arno che mise in ginocchio la città di Firenze. Trentacinque le vittime e danni enormi al  patrimonio artistico: migliaia i volumi e i manoscritti sommersi dal fango nei magazzini della Biblioteca Nazionale Centrale, come le moltissime opere conservate nei depositi degli Uffizi. Simbolo della tragedia diventa il Crocifisso di Cimabue conservato nella Basilica di Santa Croce che solo dopo un restauro durato anni viene restituito alla città e al mondo. Molte oggi le iniziative per ricordare l’anniversario. Stamattina le commemorazioni ufficiali con la presenza del premier Matteo Renzi e nel pomeriggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Nell'enciclica 'Laudato sì' di Papa Francesco "non c'è spazio per il fatalismo; c'è un invito a fare tutto ciò che si deve per mettere in opera quanto può proteggere il nostro territorio”, ha detto l'arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori nell'omelia alla messa celebrata per l’occasione.

Ieri nel Cortile della Dogana di Palazzo Vecchio, è stata scoperta la lapide che ricorda la tragedia e ringrazia i fiorentini e i cosiddetti 'angeli del  fango' che arrivarono da tutto il mondo per aiutare la città. Al microfono di Luca Collodi, Antonina Bargellini, figlia di Piero Bargellini, sindaco di Firenze ai tempi dell’alluvione, ricorda quel 4 novembre 1966 e l’impegno del padre per far ripartire la sua città:

R. – Certo, lo ricordo benissimo perché avevo 22 anni. Mio padre fu chiamato prestissimo la notte perché avevano paura che crollasse il Ponte Vecchio; e praticamente non tornò più a casa: rimase tutta la notte nel Palazzo Vecchio. Mio padre prese Firenze come la sua famiglia e cominciò a lavorare giorno e notte per cercare di aiutare; non solo cercare di fare appelli per le opere d’arte, ma anche per la povera gente. E in più, la sua preoccupazione fu che il governo da principio non capì esattamente qual era stata la catastrofe. Poi, quando si accorse che i soldi stanziati per le opere d’arte superavano quelli per la povera gente, disse una frase che per mio padre era un po’ particolare, dato che era sempre stato un uomo amante della storia dell’arte, disse: “Basta con ‘Il Cristo del Cimabue’, pensiamo ai poveri cristi”, gente che aveva perso la casa, artigiani che avevano perso il lavoro… E la sua preoccupazione fu di aiutare immediatamente questa gente e cercare il prima possibile di rimettere in moto la città dopo aver fatto la pulizia a questa immane tragedia. Non era solo l’acqua, ma è stato il fango: una cosa veramente tremenda che è durata giorni, mesi… un misto di fango, vetri, di tutto: fogne, animali, carogne…

D. – Dottoressa Bargellini, lei lavora ad un museo virtuale sull’alluvione da realizzare a Santa Croce. Per questo nell’archivio del comune, a Palazzo Vecchio, è alla ricerca di documenti, anche inediti. Oltre agli “angeli del fango”, si scopre che gli aiuti a Firenze arrivarono da tutte le parti del mondo...

R. – Sì. Arrivarono non solo da tutte le parti del mondo, ma anche dagli studenti che non poterono venire a Firenze, e che organizzarono feste, rinunciarono al Natale e a tutte le cose per mandare i soldi. Ma più che altro anche i bambini: bambini del Giappone che lavorarono tre o quattro mesi in montagna per far tornare il sorriso ai bambini di Firenze; bambini di Bahia San Salvador - delle favelas - che mandavano magari un niente, ma perché comunque a Firenze avessero da parte loro una dimostrazione. Poi bambini americani, che avevano aiutato in casa le mamme, le nonne, per mandare i soldi, dicendo: “Signor Sindaco, se ha bisogno di noi veniamo o sennò le mandiamo questi pochi soldi con grande amore”. Ma non solo: Paesi dell’Africa. Ho scoperto 90 Paesi che hanno aiutato Firenze in maniera forte, Paesi che non ci si aspetta: dal Sud Africa al Congo, l’Eritrea, l’Afghanistan, l’Argentina, Costa Rica, la Turchia, la Tunisia, il Marocco, il Senegal, la Nuova Zelanda… Le faccio un esempio: dalla Somalia arrivò una nave di banane; dalla Tunisia si offrivano a donare il sangue per i fiorentini. Perciò, non fu solo l’America che aiutò in maniera enorme, ma anche l’Iran, la Siria - Paesi che adesso ci sembra impossibile… – il Nepal, l’India: tutti questi Paesi ci mandarono gli aiuti. Le racconto l’episodio per me in assoluto più toccante di tutti quelli che ho trovato in queste ricerche: l’episodio di Aberfan. Aberfan è un paesino del Galles: è un paesino di minatori, di gente che lavorava con fatica – un paese duro, di minatori di carbone – il 21 ottobre del 1966 crollò una montagna di carbone,  che distrusse la scuola e uccise 150 bambini. Questo paese rimase senza bambini: questo successe il 21 ottobre del ‘66; il 10 novembre partì da Aberfan un pullman guidato da un certo sig. Phillips che portava vestiti, coperte e giocattoli di questi bambini per i bambini di Firenze.








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