2016-10-27 15:02:00

Immigrazione: italiani all'estero superano stranieri in Italia


Il numero degli italiani all’estero nel 2015, per la prima volta da molti anni, ha superato quello degli stranieri residenti in Italia. E’ uno dei tanti dati contenuti nel Dossier Statistico Immigrazione 2016, presentato oggi a Roma dal Centro studi e ricerche Idos e dalla rivista interreligiosa Confronti, in collaborazione con l’Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, e che rileva che gli immigrati sono l'8,3% della popolazione. Francesca Sabatinelli:

A fare la differenza sono 200 mila persone, che portano il numero degli italiani residenti in altri Paesi a 5 milioni e 200 mila, contro i cinque milioni di stranieri nella penisola. In realtà però il dossier precisa anche come il dato sugli stranieri vada ampliato per calcolare coloro che, pur avendo un permesso di soggiorno, non hanno la residenza, il che porta il numero a 5 milioni e mezzo. A questo si aggiunge il milione e 150 mila cittadini italiani di origine straniera, che si prevede che nel 2050 supereranno i sei milioni. I Paesi di provenienza restano soprattutto Romania, Albania, Marocco, Cina e Ucraina mentre tra le regioni italiane si conferma l’Emilia–Romagna quella con la maggiore incidenza di cittadini immigrati che, per quanto riguarda la voce lavoro, in tutta Italia, sempre nel 2015, hanno rappresentato il 28,9% dei nuovi assunti, in particolare impiegati presso le famiglie e in agricoltura. Aumentate anche le imprese a gestione immigrata, ad oggi circa 550mila e cresciute nell’ultimo anno di 26mila unità. Gli immigrati, inoltre, contribuiscono al sistema pensioni con oltre 10 miliardi di contributi. Franco Pittau, del Coordinamento redazionale del Dossier:

R. – C’è stata una movimentazione di oltre 600 mila persone: 250 mila nuovi registrati, più di 70 mila nati da entrambi i genitori stranieri, poi ci sono stati 46 mila che hanno perso il posto di lavoro e sono dovuti tornare al loro Paese, e poi abbiamo quasi 180 mila cittadini stranieri che sono diventati cittadini italiani. In più, come tutti sanno, c’è stato questo grosso arrivo di profughi richiedenti asilo e altri, che nel 2015 sono stati 154 mila e nel 2016 sembra che superino anche questa cifra.

D. – Si parlava dei nuovi cittadini italiani, resta però il fatto che in Italia non c’è una legge che riconosca come tali i figli di stranieri nati però sul territorio italiano…

R. – E’ auspicabile per sostenere l’attaccamento dei figli dei cittadini stranieri che nascono in Italia, approvare anche questa legge. Penso che ci arriveremo. L’importante è capire che l’immigrazione, ormai, è una componente essenziale dell’Italia: il futuro senza gli immigrati non sarebbe pensabile. Noi, nel 2015, abbiamo avuto le morti di italiani soli che sono prevalse sulle nascite di 228 mila unità. Questo vuol dire che in dieci anni più di due milioni e 200 mila italiani verranno meno, la popolazione italiana diminuirà. Siccome noi abbiamo bisogno di un equilibrio della popolazione, l’immigrazione è questo equilibrio, è questo sussidio. Certo è che nascono anche problemi, però bisogna riuscire a superare i problemi vedendo anche questi benefici.

D. – La fotografia che voi avete fatto chiaramente non può essere omogenea per tutta l’Italia. Che differenze ci sono, tra Nord, Sud e Centro?

R. – Nel Nord è molto più avanzato il processo di integrazione, la maggior parte di questi casi di cittadinanza sono nel Nord, come anche nel Nord sono più elevati i permessi di soggiorno di lunga residenza, quelli che danno diritto a restare senza essere mandati via. E questa è la differenza, perché il Sud è più combattuto tra una parte degli immigrati che si inseriscono, e ci sono delle belle comunità, che lavorano in agricoltura, nel servizi, e una parte di immigrati che vengono come luogo di sbarco, di primo arrivo e che poi si spostano in altre parti d’Italia. Direi che il Sud ha una posizione molto difficile perché deve pensare all’integrazione e all’accoglienza poi, quando le persone vengono spostate, all’accoglienza deve pensare anche il Nord e poi vediamo qualcosa che non va bene, come il caso dei comuni dove hanno rifiutato poche donne richiedenti asilo.

D. – Questo di Goro adesso sta diventando un esempio di come l’Italia non dovrebbe essere, sebbene i cittadini si stiano difendendo dicendo: “Non sapevamo che fossero donne e bambini”, soprattutto viene rilevato che il territorio, i piccoli territori, non sono messi nella condizione di capire questo fenomeno che, possiamo dire, li travolge. Quindi, non è perdonabile quel comportamento, ma forse bisognerebbe creare un collante tra i nuovi arrivati a gli italiani, soprattutto nei piccoli territori …

R. – Noi abbiamo pensato – almeno, in una certa misura si è pensato – che l’accoglienza fosse fatta dai soldi che servono. Il che è vero, perché l’accoglienza costa anche, però è fatta anche dall’atteggiamento e, probabilmente, sull’atteggiamento non abbiamo investito tanto. E non dico solo gli amministratori, ma anche noi forze sociali, religiose, si sarebbe dovuto fare molto di più! Bisogna capire che accogliere è un problema e chi lo nasconde non fa un buon servizio alla verità. Accogliere costa sacrificio, costa tempo, costa soldi, l’accoglienza non è fatta solo di strutture dove si mangia e si beve, per l’inserimento nella società ci vuole il coinvolgimento della società. Gli amministratori avranno fatto degli sbagli? Penso di sì. Noi delle forze sociali abbiamo fatto degli sbagli? Io penso di sì. Perché avremmo dovuto investire di più, parlare con la gente, parlare anche negli ambienti difficili e specialmente far capire che da qua al 2050 è previsto che l’Italia perda 12 milioni di cittadini italiani. E’ – diciamo – un equilibrio: bisogna regolamentare le cose e pensare anche al futuro.








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