2016-10-23 09:00:00

La luce dei "Corridoi umanitari" nel buio in Siria e Iraq


In Iraq, va avanti la battaglia per riconquistare Mosul, occupata dal cosiddetto Stato Islamico. Siamo appena all'inizio e già si contano centinaia di morti. In Siria, la tragedia di Aleppo - dove ieri sera è finita una fragile tregua - e di tante altre città sconosciute non sembra avere fine: tanti i bambini tra le vittime. In questa situazione drammatica, dominata dalle grandi potenze, c'è chi, nel piccolo, lavora per salvare le popolazioni civili. Tra lunedì e martedì, il progetto “Corridoi umanitari” della Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione con la Federazione delle Chiese Evangeliche e la Tavola Valdese, porterà in Italia altri 130 profughi provenienti dalla Siria. Salgono in questo modo a 400 i profughi ospitati ed è sempre più vicino l’obiettivo di mille rifugiati in due anni, in un periodo in cui l’emergenza della crisi migratoria è sempre più attuale, come conferma al microfono di Roberta Barbi, il portavoce della Comunità di Sant’Egidio, Roberto Zuccolini:

R. – Dobbiamo ancora capire cosa succederà a Mosul e nella zona attorno, dove già – peraltro – ci sono dei campi profughi enormi, c’è la Piana di Ninive, ci sono tantissimi problemi da risolvere. Direi, soprattutto, che l’ondata migratoria continuerà finché continueranno le guerre e non solo quella irachena, ma soprattutto quella siriana: non dimentichiamo il dramma di Aleppo e il milione e passa di profughi che stanno in Libano e le centinaia di migliaia che sono in Giordania. Non dimentichiamo neanche l’emergenza economica e ambientale che si vive in tantissimi Paesi africani, che contribuirà alla pressione migratoria nei prossimi mesi e, credo, anche nei prossimi anni.

D. – La Comunità internazionale chiede continuamente corridoi umanitari. Voi, in concreto, li avete attivati. È possibile, quindi?

R. – È vero! La Comunità internazionale chiede corridoi umanitari, ma non riesce a realizzarli perché non c’è volontà politica, perché le grandi istituzioni internazionali si dimostrano impotenti di fronte a problemi che sarebbero risolvibilissimi, anche con un sforzo limitato. L’esempio è molto chiaro: noi siamo arrivati ormai a 400 profughi siriani con il prossimo arrivo dal Libano, l’Europa non riesce a spostare decine – e dico decine! – di persone in Ungheria o in altri Paesi a causa di litigi, a causa di muri politici, oltre che fisici, che vengono costruiti e che vengono posti tra una nazione l’altra, tra l’Europa e il fuori Europa. Però si danno tantissimi soldi per accordi, che – peraltro – non funzionano e che non stanno funzionando con la Turchia!

D. – Ad accogliere i nuovi arrivati anche alcuni rifugiati arrivati nel febbraio scorso. Una bella testimonianza…

R. – E’ una scelta che rivela un fatto: quando c’è una volontà e quando c’è una sinergia tra società civile e istituzioni – come è il caso di “Corridoi umanitari”, realizzati in Italia in accordo con lo Stato Italiano – le cose possono funzionare. Con una spesa anche relativa, portata avanti da noi, con una raccolta fondi della Comunità di Sant’Egidio e dall’8xmille dei Valdesi… Naturalmente noi non potremo portare migliaia di persone - noi abbiamo l’obiettivo di portarne mille entro il 2017 – ma così abbiamo dimostrato che questo modello è realizzabile e volendo è esportabile e praticabile anche dagli Stati.

D. – A questo progetto sono interessati molti Paesi, tra cui Germania, Polonia e Francia. Come replicarlo in queste realtà?

R. – In Polonia c’è stata una richiesta molto chiara da parte della Chiesa polacca nei confronti dello Stato: siamo in attesa di capire un po’ il risultato di questi colloqui per la possibilità di realizzare corridoi umanitari in Polonia. È una cosa molto positiva che si realizzi in un Paese dell’Est Europa. In Francia ci sono dei contatti tra la stessa nostra Comunità, le Chiese protestanti e lo Stato; in Spagna ci sono stati degli interessamenti… Un piccolo segnale è venuto da vicinissimo, da San Marino che ha già ospitato famiglie di profughi. Secondo la nostra Comunità, la Comunità di Sant’Egidio, si apre un orizzonte diverso, perché se si riesce a dimostrare che è possibile realizzare dei corridoi umanitari, cambia anche l’immagine dell’Europa di fronte a questo fenomeno.

D. – Una volta fatti arrivare in Italia, cosa si fa di concreto per l’integrazione dei profughi?

R. – Al di là dell’accoglienza che noi avevamo preparato - noi e le comunità protestanti in Italia e le Chiese evangeliche e valdesi – abbiamo visto che in realtà si sono mobilitati i cittadini: le famiglie che hanno offerto case; la gente che ha risposto chiamandoci e inviandoci email, dicendo: “Vogliamo collaborare. Vogliamo unirci a questo lavoro di accoglienza e non solo di accoglienza, ma anche d’integrazione”. La prima cosa che noi proponiamo a chi arriva con i corridoi umanitari è di apprendere la lingua italiana, di incontrare le nostre famiglie, di far giocare i loro bambini con i nostri bambini: tutto questo moltiplica la generosità, che sembra, invece, in declino quando prevale la demagogia, quando prevalgono gli slogan che parlano di presunte invasioni.

D. – “Corridoi umanitari” ha ricevuto il Premio “Terra e Pace” 2016. Questo riconoscimento è servito a dare visibilità all’iniziativa?

R. – Serve molto parlarne, serve molto incontrare queste persone. Questo è fondamentale: far incontrare chi viene da situazioni di guerra con i cittadini italiani e far capire che dietro a queste storie di chi arriva, di chi continua ad arrivare con i barconi a rischio della propria vita, ci sono delle persone, con storie dolorose di famiglie, ma c’è anche una grandissima voglia di costruire il futuro.








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