2016-10-19 12:36:00

Il Presidente della Filippine Duterte in visita in Cina


E’ in corso la visita di quattro giorni in Cina del Presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte. Sullo sfondo i recenti contrasti sulle pretese territoriali di Pechino sul Mar Cinese meridionale, ma anche gli interessi commerciali della Repubblica Popolare sull’arcipelago sinora economicamente nella sfera statunitense. Washington ha espresso perplessità sulla politica fortemente repressiva di Duterte per combattere il narcotraffico. Sul significato di questa visita, Giancarlo La Vella ha intervistato Stefano Vecchia, esperto di Estremo Oriente:

R. – Ha soprattutto una valenza economica. I rapporti tra i due Paesi si sono intensificati negli ultimi anni. La Cina resta un grande investitore, però è ancora potenziale, quindi Manila è aperta a questi investimenti cinesi. Si parla di circa 50 miliardi di dollari di contratti pronti ad essere firmati a Pechino, che sarebbero un motore di crescita per il Paese, un Paese che arranca, pur avendo avuto una crescita piuttosto elevata negli ultimi anni. Sicuramente la questione economica è legata alla questione strategica. Pechino ha rivendicazioni molto forti sul Mar Cinese meridionale e soprattutto negli ultimi anni ha cercato di estendere la propria influenza anche conquistando atolli e isole, costruendo strutture fisse, senza tenere conto assolutamente sia delle esigenze territoriali di Manila, ma anche delle esigenze della popolazione locale, soprattutto dedita alla pesca, che abitualmente utilizza queste acque, ricche peraltro di grandi risorse del sottosuolo marino per ora non sfruttate.

D. – Rivolgersi a Pechino vuol dire rivedere anche i rapporti con gli Stati Uniti?

R. – Sicuramente. Duterte sta giocando in questo modo, spregiudicatamente, la carta delle alleanze, cercando di mettere Washington in una posizione di difesa, sperando che facci ancora più concessioni. Gli Stati Uniti, ex potenza coloniale, sono un tradizionale alleato delle Filippine. Sono, comunque, il suo principale protettore sul piano militare, questo va tenuto presente. Da questo punto di vista le Filippine sono un Paese estremamente debole e quindi Pechino non avrebbe nessuna difficoltà a proseguire la sua opera di penetrazione. E’ solo la presenza di forti contingenti degli Stati Uniti che impedisce questa ulteriore espansione. Allo stesso tempo Duterte ha mostrato più volte insofferenza verso gli Stati Uniti, come peraltro verso l’Europa e verso altri, per la pressione costante sulla sua politica interna, una politica sicuramente repressiva delle libertà individuali e democratiche. Sinora sono almeno 4 mila le vittime della campagna di Duterte contro la droga, che di fatto è una campagna di sterminio nei confronti di spacciatori, di tossicodipendenti e quindi sicuramente è qualcosa di inviso non soltanto alla comunità internazionale e alla società civile filippina, ma anche alla Chiesa.

D. – I filippini come vedono questo pugno eccessivamente duro, che Duterte sta utilizzando sia pure per combattere una piaga come quella del narcotraffico?

R. – Lo vivono in modo contradditorio, chiaramente perché da un lato è un Paese fortemente cattolico con una forte presenza della Chiesa che ha un ruolo nella società, una Chiesa che è in contrasto aperto con Duterte. Nello stesso tempo però la forte incidenza della criminalità comune sulla vita dei filippini fa sì che, almeno finora, la popolazione si sia schierata con Duterte per questa operazione contro il crimine. Logicamente è un’operazione che ha dei limiti e i filippini vanno accorgendosene e crescono le resistenze della società civile, però la popolazione al momento è ancora al 76% favorevole a questa politica repressiva di Duterte.








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