2016-10-18 18:17:00

Baghdad: offensiva anti-Is a Mosul. Civili e bambini intrappolati


In Iraq, giornata decisiva per la riconquista, da parte di Baghdad, della città di Mosul nel nord del Paese, roccaforte del sedicente Stato islamico. Ma i tempi dell’avanzata si allungano. Grande preoccupazione per la sorte dei civili, specie dei bambini, oltre mezzo milione a rischiare la vita nell’offensiva militare, seconda la denuncia di Save the Children. Il servizio di Roberta Gisotti

Secondo giorno di belligeranza nell’attacco sferrato a Mosul dall’esercito iracheno, supportato dai miliziani peshmerga curdi, con la copertura area della coalizione internazionale, a guida statunitense. 12 i villaggi finora riconquistati da Baghdad a sud della città e 9 liberati ad est dai guerriglieri curdi. Al momento sembra essere rallentata l’offensiva contro i jihadisti dell’Is. Una volta tanto sono d’accordo, Usa e Russia. “Sarà una lotta difficile”, avverte Obama. “Non sarà facile” gli fa eco il ministro degli Esteri russo Lavrov, interrogandosi, riguardo per la futura stabilità dell’area, quali forze occuperanno Mosul. Mentre il primo ministro iracheno chiede alla Turchia di ritirare le truppe schierate a nord est di Mosul, perché “l’Iraq – ricorda- non è assoggettata ad Ankara”.  Ankara, che in accordo con la coalizione, partecipa ai bombardamenti su Mosul. E, cresce il timore per i civili. Amnesty International ha chiesto che Baghdad impedisca il ripetersi di “spaventosi abusi” già commessi in passato contro la popolazione sunnita da parte di milizie sciite alleate del governo. In risposta il presidente iracheno Fuad Masum si è appellato a supportare gli sfollati. Ma la situazione dei centri destinati ad accoglierli è satura e precaria. Particolare preoccupazione desta la sorte dei minori, oltre mezzo milione in balia della battaglia.

Proprio in soccorso di questi piccoli l’organizzazione ha lanciato la campagna globale "Fino all'ultimo bambino", dove si chiede che vengano immediatamente creati e mantenuti passaggi sicuri e bonificati dagli ordigni per permettere alle famiglie di lasciare la città in sicurezza. Marina Tomarro ha intervistato Marco Guadagnino, portavoce dei programmi internazionali di Save the Children:

   

R. – Proprio in queste ultimissime ore stanno arrivando i primi gruppi e le prime famiglie che stanno scappando dai combattimenti di Mosul; la situazione è ovviamente in continua evoluzione. Stimiamo che ci siano circa 500 mila bambini intrappolati in un fuoco incrociato in una zona che peraltro da alcuni anni è complicata. Sono due anni, cioè da quando è entrato l’Is, che Mosul è in una situazione molto, molto difficile per quanto riguarda in particolare donne e bambini. Mancano da anni acqua, cibo e cure. I bambini che abbiamo incontrato negli scorsi giorni, che scappavano da altri teatri di guerra un po’ più a sud di Mosul, ci sono arrivati quasi in fin di vita. Temiamo che queste scene possano ripetersi nelle prossime ore. Queste bambine, queste donne, queste famiglie stanno scappando da una zona dove si stanno intensificando i bombardamenti: devono riuscire a superare questa striscia di terra che varia dai 10 ai 20 km, che li porta a raggiungere le prime linee della coalizione che sta attaccando l’Is. Ma questi 20 km sono 20 km infernali …

D. – Anche nei campi profughi la situazione è sempre più drammatica: cosa rischiano questi piccoli?

R. – Innanzitutto c’è una questione "spazio" all’interno di questi campi profughi. Per adesso sono stati allestiti spazi per poco più di 60 mila persone: temiamo che il flusso sarà molto, molto più alto. E poi c’è il grandissimo tema di assistenza primaria, di accesso alla scuola e c’è il grandissimo problema dei traumi: sono due anni che questi bambini non vedono che guerra. Se riusciranno a tirarsi fuori da questo inferno che è diventato Mosul, dovranno essere aiutati. Dovranno essere introdotti in un percorso che possa tirarli fuori dai traumi che hanno vissuto. Hanno visto morire fratelli, amici, genitori … ci sarà un enorme bisogno di supporto, per questi bambini; perché sono loro, i bambini, che dovranno provare in qualche modo a ricostruire un Iraq pacificato, in futuro. Questo è il nostro sogno.

D. – Le forze governative cosa dovrebbero fare di più per difendere questi piccoli e le loro famiglie, naturalmente?

R. – Innanzitutto, bisognerebbe garantire i famosi “corridoi umanitari”. Ci rendiamo conto che è una situazione molto difficile; il corridoio umanitario non può essere concesso unilateralmente. Quindi, benché ci sia un tentativo, una volontà – probabilmente – delle forze alleate di crearli, bisogna vedere anche l’altra parte – l’Is: ma non credo che questo sia nelle loro corde, in questo momento, concedere corridoi umanitari. Quello che bisogna fare è assicurarsi che queste donne, questi bambini che stanno scappando ricevano assistenza al più presto. Ovviamente ci saranno dei filtri: sarà verificato chi effettivamente è civile e chi no. Temiamo che in questa fase di controllo ci possano essere separazioni di nuclei familiari: anche questo, noi speriamo che le forze alleate, le forze della coalizione riescano a impegnarsi su questo fronte. C’è un grande problema legato alle strutture d’accoglienza: per adesso, troppo pochi sono i fondi destinati ad accogliere queste persone in fuga. Il numero potrebbe crescere, nelle prossime ore, e c’è bisogno che la comunità internazionale tutta si impegni con uno sforzo ulteriore.








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