2016-10-06 14:01:00

Aleppo: l'arcivescovo maronita, città divisa è una nuova Berlino


Parte dai bambini il nuovo appello di pace per la Siria. Si tratta di una petizione che i giovani siriani stanno sottoscrivendo nelle scuole per poi inviare all’Unione Europea e all'Onu. L’iniziativa, il cui slogan è “Peace for Children”, fa parte di una campagna che coinvolge i cristiani cattolici e ortodossi del Paese: domani è prevista inoltre una giornata di danze, canti, rappresentazioni e preghiere per la riconciliazione, nel quadro delle iniziative promosse da Aiuto alla Chiesa che Soffre, nonostante la violenza non dia tregua alla Siria. Il sedicente Stato islamico ha rivendicato l’attentato suicida compiuto oggi nel nord-ovest del Paese, al confine con la Turchia, che ha provocato almeno 20 morti e altrettanti feriti. Sempre più critica la situazione anche ad Aleppo. Al microfono di Giada Aquilino, ce ne parla l’arcivescovo maronita della città, mons. Joseph Tobji, in questi giorni a Roma dopo aver partecipato al recente corso di formazione per i nuovi vescovi:

R. – Praticamente la gente vive con la morte: c’è mancanza di sicurezza e non si sa mai quando si sarà colpiti da un mortaio, da una pallottola, da un colpo di cannone. Ciò avviene in tutte e due le parti, perché Aleppo è divisa in due: è purtroppo una nuova Berlino. La parte orientale è controllata dai terroristi e la parte occidentale è controllata dal governo. La maggior parte della gente, un milione e mezzo di abitanti, vive nella parte occidentale, anche tutti noi cristiani. Nella parte orientale, invece, vivono attorno a 250 - 300 mila persone. Questa divisione della città comporta sparatorie e bombardamenti ovunque. La gente, i civili sono i primi a pagarne il prezzo. Ultimamente l’università statale è stata colpita da razzi e parecchi studenti e persone che stavano lì sono morti. Una delle chiese armeno-cattoliche è stata colpita, mentre noi maroniti non abbiamo più chiese maronite. E’ insomma questa mancanza di sicurezza che poi porta il terrore.

D. – Chi combatte contro chi ad Aleppo?

R. – Voi in Occidente parlate di “ribelli”, ma per noi, che nella parte occidentale moriamo a causa dei loro lanci, sono terroristi. Ogni giorno noi facciamo almeno dieci funerali.

D. – Quando lei parla di terroristi a chi si riferisce: Daesh, al Nusra?

R. – A tutti quanti. Ci sono mille denominazioni. Tutti, però, hanno la stessa ideologia.

D. – Qual è?

R. – L’estremo fanatismo che rifiuta tutti gli altri e che vuole istituire l’Impero, lo Stato Islamico, il Califfato, che poi è esclusivo: o noi o niente. Ma la maggior parte dei nostri musulmani siriani non accetta questa ideologia, sia i sunniti sia gli sciiti, tutti quanti. Quindi è una cosa che ci è estranea.

D. – C’è oggi una collaborazione tra cristiani e musulmani per la pace?

R. – Io ed altri vescovi in città ci incontriamo con gli imam, i muftì e siamo d’accordo per la pace, per l’uomo, per il benessere dei civili. Anche loro rifiutano questa ideologia. Qualche volta, agli incontri con i giovani, con i nostri parrocchiani, invitiamo uno sceicco e qualche volta andiamo noi. Ci conosciamo l’uno con l’altro.

D. – In queste ore c’è una preghiera per la pace dei bambini nelle scuole, una preghiera speciale. In generale, cosa chiede la Siria?

R. – Di avere la pace, prima di tutto; di essere considerata come un Paese sovrano, come tutti gli altri Paesi, e quindi di vedere rispettata la libertà di risolvere i nostri problemi. Non vogliamo essere come giocattoli nelle mani delle grandi forze. Non siamo come pezzi degli scacchi, per cui questo muove questo, quello muove quell’altro…

D. – Cosa pensa, che responsabilità internazionali ci sono in questa guerra?

R. – Da siriano, vedo chiaro e con molta evidenza che la pianificazione di questa guerra è stata fatta molto prima del 2011: tutto era studiato. Quindi, la Siria è nel mirino delle grandi forze ed è come una torta da dividere. Perché questa guerra serve agli interessi economici dell’Occidente.

D. – Lei in questi giorni ha incontrato Papa Francesco: che ritratto ha fatto del suo Paese col Pontefice?

R. – Alla fine del corso per i nuovi vescovi, dopo l’udienza con il Santo Padre, ci siamo messi in fila per salutarlo. Avevo con me due simboli, fatti dai giovani siriani, in occasione della Gmg aleppina, celebrata a livello locale, non potendo uscire: la bandiera siriana firmata dai mille giovani presenti all’incontro e un album di foto dei loro compagni morti, caduti, martiri del Paese. Quando li ho mostrati al Santo Padre, lui ha girato la prima pagina e ha visto la prima foto, poi la seconda pagina, la terza e ha cominciato a lacrimare, quasi a piangere. Anch’io ho pianto e così il cardinale che mi stava accanto. Non abbiamo detto niente. Solo un forte, grande abbraccio, non per me, ma per tutti i giovani, tutti i siriani.

D. -  Il Papa più volte ha rivolto degli appelli a favore della pace in Siria: come sono stati accolti nel Paese?

R. – Molto bene, come sempre quando parla il Santo Padre della Siria, quando dice: “La mia amata Siria”. Questa è una consolazione: che si preghi per noi; che non siamo lasciati soli.

D. – Qual è il suo appello?

R. – Che si continui a pregare per noi. Davanti a me c’è quella bella immagine del tunnel con la luce alla fine, che è speranza per la pace.








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