2016-10-02 16:36:00

Supplica di Pompei: fede e speranza per un mondo più giusto


La pioggia non ferma i devoti della Madonna di Pompei, che questa mattina, nella prima domenica di ottobre, mese del Santo Rosario, hanno affollato ogni spazio di una Basilica gremita per recitare, insieme, la Supplica alla Beata Vergine. La devozione ha portato i tanti, che non sono riusciti ad entrare in chiesa, a rimanere fuori sotto il temporale. Un atto d’amore che racconta la profonda devozione dei fedeli a Maria. Ma ogni popolo, ogni nazione era a Pompei, almeno nello spirito. Mezzogiorno è l’ora che il Fondatore del Santuario, il Beato Bartolo Longo, definiva “del mondo”. E proprio tutto il mondo si è unito alla città mariana allo scoccare di quell’ora: migliaia le chiese, i conventi, le piazze, dove si è recitata la preghiera d’invocazione a Maria, che lo stesso Longo compose nel 1883.

Com’è difficile vivere in un mondo sconvolto come il nostro
La Supplica e la celebrazione della Santa Messa che ha preceduto la preghiera sono state presiedute dal vescovo di Nola, l’arcivescovo Beniamino Depalma. Nell’omelia, tenuta nel corso della funzione religiosa, concelebrata dall’arcivescovo di Pompei, mons. Tommaso Caputo, e dall’arcivescovo emerito di Aversa, mons. Mario Milano, il presule è partito da un’analisi amara della comunità umana, nel tempo attuale: «Com’è difficile vivere – ha detto – in un mondo sconvolto come il nostro, com’è difficile vivere in un’Europa disperata, com’è difficile vivere in una regione, la nostra, nella quale si continua a spargere sangue e si ripetono attentati alla vita, attentati alla salute, attentati alla bellezza del territorio. Com’è difficile vivere e credere». 

La risposta ai nostri dubbi è nella speranza, che accompagna la fede
In un contesto dalle tinte fosche, mons. Depalma si è posto una domanda inevitabile per la coscienza di ogni credente: «Signore, fino a quando tacerai? Fino a quando ci nasconderai il tuo volto? Fino a quando darai l’impressione di essere assente dalla nostra storia? Fino a quando sembrerai indifferente alle tragedie umane? Fino a quando il malvagio avrà l’impressione di vincere sempre? Fino a quando il giusto, il povero, avrà l’impressione di essere sempre calpestato». La risposta è nella speranza, che accompagna la fede. 

O la speranza o il rifiuto della vita. O la speranza o il nulla. Tocca a noi scegliere
«In questi tempi difficili – ha continuato l’arcivescovo – com’è facile cadere nella trappola della paura, della rassegnazione, della mafia, della violenza. Com’è facile rifuggire dalla realtà per rifugiarsi in un mondo virtuale. Com’è difficile sperare in questo nostro tempo, in questo nostro territorio. Eppure è la speranza la virtù che ci sostiene in questi tempi difficili. Noi credenti abbiamo bisogno di speranza per annunciare il Vangelo con audacia e con coraggio. Hanno bisogno di speranza anche gli uomini laici se vogliono non rassegnarsi. O la speranza o la rassegnazione. O la speranza o il rifiuto della vita. O la speranza o il nulla. Tocca a noi scegliere». La speranza accompagna la fede, quasi per mano. Credere però non è una scelta d’opportunità. 

Fede significa sentirsi amati e, se ci si sente amati, non si è mai soli
«Dio – ha spiegato ancora il presule - non ci promette una vita facile. Dio non ci promette garanzie. Dio ci promette la sua parola: ci sono io, non abbiate paura. Fede significa aggrapparsi alla promessa di Dio che non viene mai meno. Siamo saldi nella sua parola. Chi costruisce su di me, dice Gesù, costruisce sulla roccia. Anche se vengono le tempeste, la costruzione resta in piedi. Chi non costruisce su di me, costruisce sulla sabbia. Essere uomini attaccati alla fede significa lasciarsi prendere in braccio da Dio, sentirsi al sicuro nel cuore di Dio, fare l’esperienza che siamo importanti per Dio, sapere che i nostri nomi sono scritti nel palmo della sua mano. Fede significa sentirsi amati e, se ci si sente amati, non si è mai soli». La speranza e la fede portano all’azione concreta: «Siamo chiamati a fare storia», ha esortato mons. Depalma, che ha anche invitato a «risvegliare la coscienza sociale». 

La compassione salverà il mondo e creerà un mondo più fraterno
L’impegno concreto nella società si vive nel servizio per gli altri: «La compassione – ha concluso il celebrante – salverà il mondo, risolverà tutti i problemi. La compassione creerà un mondo più fraterno, un mondo più vivibile, un mondo nel quale tutti stanno bene. Nessuno viva la vita per se stesso, la vita si vive per gli altri, ci è stata data per gli altri. Un servizio senza interessi, gratificazioni, consensi, vissuto nella gratuità e nella concretezza. Servizio concreto significa che siamo chiamati a rimettere in piedi tutti gli uomini, nessuno escluso. Il mondo è fatto per tutti. Dio non ha creato gli emarginati e gli esclusi. Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza».

Pompei  binomio tra spiritualità e amore concreto verso gli ultimi e gli emarginati
E proprio a Pompei si vive l’impegno quotidiano nell’azione di contrasto ad ogni forma di disagio. Nel saluto a mons. Depalma, l’arcivescovo Tommaso Caputo ha ricordato che il Santuario mariano è «una casa costruita da Bartolo Longo con i mattoni della fede e con quelli della carità, in un binomio inscindibile tra spiritualità e amore concreto verso gli ultimi e gli emarginati che lo ha portato a dare vita a numerose opere sociali attive ancora oggi per l’accoglienza di bambini, anziani, madri ed adolescenti in difficoltà, diversamente abili, ex tossicodipendenti, poveri, migranti». (T.C.)








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