2016-09-23 13:38:00

100° nascita di Aldo Moro, la politica come forma di carità


La politica con il cuore

“In ogni parte d’Italia, nelle scuole, nelle parrocchie, in occasione di conferenze, celebrazioni e intitolazioni di strade, registriamo ancora un grande entusiasmo e affetto, anche e soprattutto dei giovani, nei confronti di Aldo Moro. In un momento di crisi e disaffezione per la politica la sua figura resta un modello di vita per molti, come esempio di uomo che ha faceva politica con il cuore”. A parlare così è l’avvocato Nicola Giampaolo, postulatore della causa di beatificazione del servo di Dio Aldo Moro, ospite della Radio Vaticana in occasione del centenario della nascita dello statista e giurista democristiano, ucciso dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978. “E’ stato già accolto, dal tribunale della diocesi di Roma, il ‘supplice libello sulla fama di santità’, cioè il documento che costituisce il presupposto per avviare la causa”, spiega Giampaolo. “Attualmente, stiamo ancora raccogliendo numerose postulatorie, testimonianze di cardinali, vescovi, convinti dell’opportunità di questa causa, ma anche di gente comune, politici e intellettuali. Quanto prima speriamo di poter richiedere il‘nulla osta’ per procedere alla Conferenza episcopale italiana”.

Perdonò i suoi carnefici

“Alla Santa Messa in suffragio di Aldo Moro, il 13 maggio 1978, il Beato Paolo VI lo definì ‘uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico’ e parlò dell’oltraggio ‘ingiusto e mortale’ che gli era stato inflitto. Come ebbe a dire mons. Oliva, arcivescovo di Locri e Gerace, già il fatto che un Pontefice si riferisse a Moro con queste parole è un’alta testimonianza della sua fama di santità. Tra Papa Montini e Moro – ricorda Giampaolo - c’era un legame profondo, basato sugli stessi obiettivi politico-sociali che perseguivano per l’Italia e per il mondo”.  “Tra i personaggi che appoggiano questa causa di beatificazione, oltre alla primogenita di Moro, Maria Fida, c’è anche il giudice Ferdinando Imposimato, all’epoca giudice istruttore del processo Moro, secondo il quale, il suo gesto più grande fu il perdono per i suoi rapitori e futuri assassini”.

Fino al martirio

“Le premesse per aprire la causa di beatificazione di Aldo Moro c’erano, perché l’attività politica – come disse lo stesso Paolo VI – se svolta secondo le virtù cardinali di giustizia, fortezza, temperanza, sobrietà e come servizio al bene comune, ma anche nella fede, è la forma più alta di carità”. Ad affermarlo è mons. Andrea Venezia, canonico della Basilica  di San Giovanni in Laterano, studioso di storia e tra i curatori della nuova edizione del volume “Aldo Moro, un cristiano verso l’altare” di Nicola Giampaolo, edito da Giuseppe Laterza. “Non dobbiamo guardare alla politica come a un ambito in cui s’interviene, purtroppo, per motivi personali, individuali o di profitto, ma come a un servizio dato da chi è eletto dal popolo. Per un cristiano come Aldo Moro, battezzato e cresciuto sin da giovane nella coscienza cristiana, la politica è stata certamente un atto di carità vissuto fino all’effusione del sangue”. “Non solo fu ucciso barbaramente – commenta mons. Venezia – come testimoniano le immagini che lo mostrano come ‘agnello immolato’. Ma la sua fine fu anche la conclusione di una testimonianza ed è per questo che nel suo caso possiamo parlare di martirio. Non solo testimoniò la fede con il suo approccio mite e pacato alle cose della politica e all’attività di governo, con la sua capacità di ascolto, mediazione, conciliazione degli opposti, ma portò avanti la sua testimonianza fino all’estreme conseguenze, andando incontro alla morte. Il suo non era tatticismo era un modello di governo. E Moro fu un politico impegnato anche per un ideale spirituale e trascendente che si chiama fede cristiana”. 

 








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