2016-09-16 13:42:00

Siria: combattimenti a Damasco, vacilla sempre di più la tregua


Violenti bombardamenti e scontri si sono registrati oggi alla periferia orientale di Damasco, nonostante la tregua: lo riferiscono fonti giornalistiche sul posto. Gruppi armati hanno tentato di entrare nella capitale attraverso il quartiere di Jobar e sono stati respinti dalle truppe di Assad. Ma decine di morti, almeno una cinquantina, sono stati causati da violenze in tutto il Paese. Molti bambini tra le vittime. Un razzo ha colpito il vescovado siro-cattolico di Aleppo senza causare morti. In questa situazione gli aiuti umanitari non riescono ad arrivare alle popolazioni stremate dalla guerra. Per un commento sulla situazione Michele Raviart ha intervistato Lorenzo Trombetta, corrispondente dell’Ansa a Beirut:

R. – Come già accaduto in passato, l’invio di aiuti umanitari diventa una questione politica: in particolare nella regione di Aleppo, ma anche in altre zone sotto assedio da parte delle forze governative, il governo siriano ha ribadito di avere la priorità nel coordinare e quindi anche nel dare il via libera all’ingresso di questi convogli umanitari. Nei giorni scorsi, i militari russi hanno eretto una postazione militare proprio lungo la via – l’unica via che dal confine con la Turchia porta ad Aleppo Est, che è la zona controllata dagli insorti e assediata dai governativi: anche questa presenza militare è considerata una presenza non imparziale: si vogliono aiutare alcuni siriani e non altri siriani, in qualche modo punirli o premiarli per il loro atteggiamento – presunto atteggiamento – politico. Poi, sul terreno ci accorgiamo che la gente ha bisogno di aiuti, in questo momento al di là della bandiera che sostiene …

D. – Quindi c’è il rischio che questi aiuti promossi dalle Nazioni Unite, non siano destinati a tutti i siriani?

R. – Questo già avviene da molto tempo: già da due anni, da quando è entrato in vigore il meccanismo di aiuti internazionali o esterni al territorio siriano. La maggior parte delle volte, quando il governo siriano ha avuto in mano le redini della situazione, ha autorizzato l’invio di aiuti in quella zona perché la considerava una base popolare ed evitava, faceva di tutto almeno per rallentare l’arrivo degli aiuti umanitari in zone che considerava fedeli all’insurrezione. Analogamente, quando in zone assediate controllate dagli insorti arrivavano finalmente gli aiuti – che capitava molto più di rado – gli stessi miliziani che controllavano quella zona spesso sequestravano gli aiuti per poi distribuirli loro in maniera politica, a seconda delle alleanze che avevano nella comunità.

D. – Proprio in queste ore ci sono dei combattimenti a Damasco, nel quartiere orientale: a questo punto, che valore ha la tregua annunciata lunedì?

R. – Per il momento, i numeri indicano che la tregua è in vigore ma ha ridotto sensibilmente il numero delle vittime, sia di morti sia di feriti; si bombarda molto di meno in Siria: come le Nazioni Unite hanno certificato, il bilancio giornaliero delle vittime si è ridotto moltissimo, più di quanto non si fosse ridotto nella precedente tregua del 27 febbraio. Quindi, il risultato a oggi è estremamente positivo, in termini prettamente di perdite di vite umane. Certo, poi sul terreno non è così facile immaginare di avere un rispetto omogeneo e totale: ci sono stati, per esempio, in una notte bombardamenti tra Homs e Hama, ma si tratta comunque di episodi più limitati e sporadici rispetto a quello che avveniva soltanto una settimana fa …

D. – Sul piano diplomatico, la Russia attacca gli Stati Uniti e dice che sostanzialmente sta fallendo nel dividere le opposizioni moderate da quelle jihadiste. A che punto è la situazione diplomatica, viste queste basi?

R. – Credo che Russia e Stati Uniti stiano provando a mettere insieme questo processo di coordinamento militare di cui si è tanto parlato e forse - quando all’interno di un negoziato che si svolge sotto il tavolo - a livello mediatico poi qualcuno lancia un’accusa, una recriminazione, lo si fa per mettere sotto pressione il rivale o il partner con cui si sta negoziando sotto il tavolo. Quindi, immagino che le dichiarazioni di ieri, il botta e risposta fra il Pentagono e il ministero della Difesa russo siano strumentali a far sì che su argomenti su cui noi veramente non abbiamo contezza, l’uno riesca a guadagnare una virgola in più rispetto all’altro. Nel contesto generale, è ovvio che non si può immaginare che l’obiettivo che si sono posti questi due attori, ovvero di dividere le opposizioni cosiddette moderate dai cosiddetti jihadisti “cattivi”, sia un obiettivo realizzabile in poco tempo. A mio avviso, è un obiettivo difficilmente realizzabile anche nel medio e lungo termine, perché si parte dal presupposto che in Siria ci siano i bianchi e i neri e ci si dimentica dei grigi, ci si dimentica del fatto che moltissime persone oggi sono con al Qaeda anche per ragioni socio-economiche, non per ragioni ideologiche: dovremmo capire perché loro preferiscono lo stipendio di al Qaeda che è più alto, rispetto allo stipendio americano. Magari bisognerebbe alzare gli stipendi per portarli dalla parte nostra e non soltanto bombardarli. Però, questa è una riflessione che forse non entra nelle orecchie di chi oggi dal Pentagono o dal Ministero della Difesa russo lancia avvertimenti al rivale per poter guadagnare qualcosa in ambito politico-negoziale.








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