2016-09-14 09:00:00

Bangladesh: rogo in una fabbrica. Un missionario: manca la sicurezza


36 morti, 50 feriti anche gravi, vari dispersi: questo è il bilancio attuale dell’incendio scoppiato nei giorni scorsi alla Tampako Foils di Tongi, una fabbrica di cosmetici a 20 chilometri da Dhaka, capitale del Bangladesh. Padre Giovanni Gargano, missionario saveriano a Tongi, dirige un “Centro per la vita”. Era lì la mattina di sabato scorso. Padre Marcello Storgato lo ha raggiunto telefonicamente:

R. – In questa fabbrica di cosmetici c’è stato lo scoppio di un boiler verso le sei meno un quarto del mattino. La gente che viveva negli slum vicini ha sentito un grande boato e tutti quanti sono scappati via dalla paura. Allo scoppio sono morte 26, 27 persone, tra cui anche una che guidava un risciò con due passeggeri.

D. – E tu eri lì, dunque, quella mattina?

R. – Io ho raggiunto Tongi verso le 08.30 del mattino. A Tongi, con Maria Cristina Palumbo abbiamo aperto un Day Care Centre per i bambini della ferrovia. La ragazza che lavora nell’asilo dei bambini mi ha avvisato di questo disastro e io sono andato subito a vedere la situazione. Ho trovato sotto il nostro Centro tutte le mamme con i bambini, sotto shock e impauriti. Li abbiamo fatti salire su nel nostro Centro e li abbiamo accolti per due giorni.

D. – Attorno a quella fabbrica ci sono anche delle baracche, c’è uno slum dove vivono le famiglie…

R. – Sì, vicino alla fabbrica ci sono delle baracche. Lo slum non è stato colpito, non è andato in fiamme, grazie a Dio. E’ morto soltanto un bambino di otto anni, che al momento dello scoppio è uscito fuori ed è stato colpito alla testa da un oggetto in fiamme. Quindi il bambino è morto all’istante.

D. – Qui si diceva che è un’azienda di imballaggio tessile…

R. – No, no. E’ una fabbrica di cosmetici, dove facevano lo smalto per le unghie, il rossetto e altri prodotti cosmetici.

D. – Ma l’incendio è durato a lungo?

R. – L’incendio è durato a lungo. I vigili del fuoco, per due giorni sono stati lì a domare il fuoco. Il fumo nero era altissimo - una cosa incredibile – perché dentro c’era tutta roba chimica, e quindi non è stato facile spegnere il fuoco.

D. – C’erano le ambulanze? Sono state rapide nei soccorsi?

R. – Devo dire la verità, i soccorsi sono stati rapidissimi. Quando io sono arrivato c’erano già 25 unità di Vigili del fuoco a lavoro dal mattino presto e c’erano anche le ambulanze. Tutti pronti. Devo dire è stato un servizio veloce e anche fatto bene, considerando che siamo in Bangladesh. E poi adesso hanno preso in mano la situazione i militari e stanno scavando fra le macerie. Siamo arrivati a 33 morti, ma ce ne sono altri che sono rimasti sotto le macerie.

D. – Feriti quanti?

R. – Si parla di 50 feriti. Adesso il ministro della salute ha detto che darà un aiuto – mille o duemila euro - a quelli che sono stati colpiti e feriti.

D. – A ciascuna delle vittime?

R.- Alle persone che sono state colpite da questo disastro.

D. – Tu hai incontrato anche delle mamme…

R. – Sì, l’altro ieri, l’11, sono andato a vedere cos’era successo fino all’ingresso principale e ho incontrato una mamma con due bambine, che ha perso il marito in questa fabbrica, e ho incontrato un’altra mamma che stava cercando il corpo del figlio ed era disperata, non avendolo trovato. Una cosa straziante! Mi ha fatto veramente pena. Ancora c’è gente con la foto del fratello o del marito che aspetta.

D. – Quindi ci sono ancora vari dispersi?

R. – Sì, ci sono ancora vari dispersi.

D. – Ti risulta che i feriti siano in gravi condizioni o se la caveranno?

R. – Qualcuno ha perso una gamba, qualcuno un braccio e quindi resterà disabile per tutta la vita. 

D. – Hanno ustioni gravi?

R. – Ustioni gravi anche, sì.

D. – Una nuova grave tragedia in Bangladesh…

R. – Sì, una nuova grande tragedia. Una tragedia sulla tragedia. Queste sono le cose che ci fanno pensare.

D. – E la gente come…

R. – Prima di tutto preghiamo per le vittime. Seconda cosa, bisogna insistere, secondo me, sulla sicurezza delle fabbriche. E’ la cosa più importante. Qualcuno mi ha detto che i cancelli della fabbrica erano chiusi, che al momento dello scoppio la Security lì davanti è morta all’istante. Quindi se i cancelli erano chiusi, questa povera gente ha fatto la morte dei topi. Non posso dire niente di più. La cosa deve essere accertata.

D. – Tu lì a Tongi hai un Day Care Centre: che attività svolge, e per chi?

R. – Al momento il Day Care Centre accoglie i bambini degli slum della ferrovia e anche i bambini delle donne che lavorano nel tessile. Abbiamo lì una ragazza che porta avanti il Centro, una cuoca e un’aiutante. Al mattino i bambini vengono dalle 8.00 fino alle 17.00 del pomeriggio. Giocano, vanno a scuola, viene loro data la merenda e mangiano lì. Ci interessiamo anche alle loro cure mediche, se hanno bisogno, e facciamo degli incontri con le mamme. Quando abbiamo aperto, due anni fa, erano appena 13-14; adesso siamo arrivati a 25. Poi quando raggiungono l’età, li mandiamo a scuola, alla Primary.

D. – Il giorno dell’incendio, il 10 settembre, avete accolto mamme e bambini in questo vostro Centro…

R. – Sì, esatto. Le mamme sono venute lì e la notte le mamme con i loro bambini hanno dormito nel Centro. C’era anche la mamma di quel bambino che è morto al mattino, che piangeva in modo disperato per la perdita del figlio. Sono rimaste lì tutta la notte. Il problema poi è che hanno chiuso l’erogazione del gas e abbiamo provveduto a comprare un po’ di banane, un po’ di pane, un po’ di frittatine, in modo che potessero mangiare qualcosa a pranzo e a cena.

D. – Le TV locali sono venute a visitare queste mamme e questi bambini, a parlare con loro?

R. – L’11, quando siamo andati, abbiamo cercato di contattare due TV, alle quali abbiamo raccontato la situazione e abbiamo chiesto di venire al nostro Centro. Loro, però, hanno detto: “No, no, questa cosa non fa notizia”. Veniva il ministro della Cultura ed erano tutti impegnati con lui.








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