2016-09-12 13:56:00

40 milioni i "rifugiati ambientali" senza tutela internazionale


Cresce il numero dei cosiddetti “rifugiati ambientali”, che fuggono dal loro Paese a causa dei disastri naturali e del cambiamento climatico. Secondo uno studio internazionale sono oltre 40 milioni e per loro non è prevista nessuna tutela, essendo assimilati ai migranti economici. Sul tema si svolgerà a Milano un convegno il prossimo 24 settembre. Tra i relatori ci sarà don Virginio Colmegna, presidente della Casa della carità, intervistato da Michele Raviart:

R. – Continuamente anche il Papa, nel recente messaggio per la Giornata di cura dell’ambiente e la terra, richiama al fatto che ci sono persone che fuggono dalla loro terra non semplicemente per guerra, ma anche e proprio per disastri naturali: fame; abbandono, defogliazione e distruzione delle terre; e altro. Questa categoria è evidentemente una categoria quasi sconosciuta, perché nell’ottica nostra si sta dicendo – con grossi problemi – che noi legittimiamo la presenza dei profughi che vengono da situazioni di guerra e tutti gli altri, per noi, sono addirittura irregolari, da restituire al loro territorio.

D. – La questione sarà affrontata a Milano, dove si svolgerà un convegno il prossimo 24 settembre. Da dove nasce l’esigenza di parlare di “rifugiati ambientali”?

R. – Mi lasci dire che è bello che il gruppo che organizza questo convegno è composto da persone di estrazioni diverse, anche culturalmente e anche in modo laico. Sono stati tutti stimolati – e questo è il dato che poi ha prodotto anche questa riflessione della “Laudato si’” – dai dati, che sono evidentemente anche allarmanti: un gran numero di persone ha la domanda rifiutata.  Indagando bene sulle motivazioni, spesso vengono da situazioni in cui la fuga è legata a situazioni anche di carestia. Allora, allargare il concetto di profughi a “profughi ambientali” significa rimettere dentro una attenzione di ospitalità per delle situazioni che altrimenti finirebbero nel terreno dell’irregolarità. E questa rischia di essere una situazione drammatica!

D. – Il tema pone anche l’accento sugli effetti del cambiamento climatico mondiale…

R. - La sollecitazione, la riflessione che si sta facendo – a fronte di un fenomeno che aumenta, anche in termini numerici enormemente nel mondo –  e il riflettere intorno a questo, che ha un aspetto di lettura anche giuridico, ci permetta anche di ragionare – e qui l’intuizione di Papa Francesco – sul fatto di come i disastri ambientali, l’occupazione di terre e il suo utilizzo, produca evidentemente un fenomeno migratorio, che non è certo auspicabile, ma in cui le cause stanno proprio nel degrado ambientale. Quindi la conversione ecologica, che richiama Papa Francesco, ha un effetto molto forte, che va riletto anche nel nostro contesto.

D. – Nella sua esperienza di accoglienza a Milano, si è trovato di fronte a casi di persone che vengono in Italia da “rifugiati ambientali”? Che storie portano dietro?

R. – C’era qui una fila oggi di gente che chiede risposte: vengono dal Gambia, dove c’è evidentemente una situazione di fame, di carestia. Penso anche all’Eritrea, dove non ce la fanno a mangiare e dove addirittura i genitori mandano via i loro figli per motivi di sopravvivenza. Ci sono persone che non hanno più la loro terra, perché è stata presa da multinazionali o da imprese; altre si trovano invece senza prospettive di futuro… Quasi tutte le storie sono storie di persone che non vogliono fuggire dalla terra, ma che non ci possono abitare! Questo è l’altro concetto importante: moltissimi vengono da situazioni di questo genere…

D. - Tranne Svezia e Finlandia, non c’è alcuna tutela per i rifugiati ambientali. A chi rivolgete le vostre richieste?

R. – Certamente all’Unione Europea. Stiamo respingendo un sacco di richieste, che poi fanno appello e diventa quindi protezione umanitaria. Quindi è indirizzata anche al nostro Paese, che deve rivedere la legge: adesso per essere accolti bisogna essere soltanto profughi. Non si fanno più flussi e non si programma più la presenza… E quindi va rivolta anche al nostro Paese dal punto di vista del profilo istituzionale.








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