2016-09-07 13:59:00

Conferenza su tratta. Card. Tagle: "Rispettare la dignità umana"


Si conclude oggi ad Abuja, in Nigeria, la Conferenza sulla tratta degli esseri umani in Africa, promossa dalla Caritas Internationalis e dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Dai lavori è emerso che la piaga delle nuove schiavitù è sempre più grave e deve essere debellata attraverso l’impegno di tutta la comunità internazionale. Il servizio di Giancarlo La Vella:

L’80 % delle ragazze nigeriane che arrivano in Italia è vittime del traffico sessuale. Lo ha affermato, nel suo intervento ad Abuja, mons. Ignatius Kaigama, presidente della Conferenza episcopale della Nigeria. Un’immagine sconcertante che si aggiunge a tante altre forme di schiavitù e che disegna un quadro preoccupante di un fenomeno al quale è necessario oggi opporsi con decisione. Sulle cause di questo dramma, Susy Hodges, della nostra redazione in lingua inglese, ha intervistato il cardinale Luis Antonio Tagle, presidente della Caritas Internationalis:

R. - Purtroppo, dopo due Guerre Mondiali, dopo tante sofferenze, l’umanità non ha appreso la lezione sul rispetto della dignità umana. Ma la domanda è: i trafficanti vedono un fratello o una sorella in una persona vulnerabile? Perché esiste il fenomeno della tratta degli esseri umani? Perché i trafficanti hanno perso la loro umanità? Questa è una domanda della fede e anche della speranza, perché senza la fede e la speranza, il problema sarebbe peggiore.

Ed ora la drammatica testimonianza di una donna nigeriana avviata suo malgrado alla prostituzione, dietro la promessa di un lavoro, riuscita a fuggire dai suoi aguzzini. La donna, intervistata da Gabriella Ceraso, ha partecipato ai lavori della Conferenza di Abuja e oggi si adopera per salvare altre ragazze vittime della tratta:

R. – Riparavo i computer. Non che non avessi tante cose da fare o che avessi una vita difficile: no, per me era un lavoro veramente interessante. Conobbi una donna: anche per lei riparavo computer. E un giorno, questa donna mi propose di andare in Europa per lavorare con il fratello che si occupava anche lui di informatica. Mi disse che lì avrei avuto uno stipendio molto buono. Io accettai la proposta, anche perché per me era una persona di fiducia. Lei fu veramente molto contenta.

D. – Quando ha capito, a Napoli, che in realtà non era questo il lavoro che le avevano promesso?

R. – Quando arrivai a Napoli, vennero a prendermi marito e moglie. Quando mi dissero che avevano già trovato il posto dove avrei dovuto lavorare la mattina e che avrebbero dovuto trovarne un altro per la sera, dissi loro che per me andava bene, ma chiesi anche quale sarebbe stata la mia paga. A quel punto, loro mi risposero che ero io a dover pagare loro 65mila euro. È allora che mi accorsi che ero finita nelle mani dei trafficanti. Non sono un’ignorante: so dell’esistenza dei trafficanti, leggo i giornali, sono laureata, ho letto tante storie di ragazze come me e di come uccidono le persone che rifiutano di accettare la situazione. Quindi, dissi che per me andava bene.

D. – Non ha potuto mai ribellarsi e dire “no”?

R. – No, non potevo! Come le ho detto, ero già informata sul fenomeno dei trafficanti. Nel mio Paese leggevo i giornali; ci sono tante manifestazioni e campagna di sensibilizzazione sul fenomeno della tratta. Sapevo che se avessi voluto ribellarmi, non avrei avuto con me né mio padre né mia madre e né mio fratello: nessuno che mi avrebbe potuto difendere.

D. – E com’è riuscita ad uscirne?

R. – Sono andata dove mi hanno mandato queste persone: sono finita a prostituirmi. Ho parlato con le altre ragazze, facendo anche finta che era tutto a posto. Però, dopo tre giorni, sono riuscita da sola a trovare la stazione di polizia, perché avevo paura di chiedere alle ragazze del mio Paese dove si trovasse. Ho cercato da sola la stazione di polizia; e alla fine, dopo tre giorni, sono riuscita a trovarla.

D. – Ha capito come e chi può aiutare le donne a salvarsi? Chi deve fare qualcosa?

R. – Le donne vittime della tratta hanno paura perché non riescono proprio ad uscire da questa situazione. Se non vedono altre donne come loro che però sono riuscite a salvarsi, che vivono e offrono la loro testimonianza, non riescono a scappare, perché ci vuole veramente coraggio! Quindi è importante che una persona, che è riuscita a fuggire da questa prigionia e vive ora una vita normale, parli con loro. Per esempio, quando vado per strada a parlare con queste ragazze, loro mi chiedono se ho avuto conseguenze e se hanno fatto del male alla mia famiglia; e io rispondo loro di no. E questa cosa dà coraggio a queste ragazze, che provano ad uscire da questa situazione.








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