2016-09-03 11:51:00

Cina e Stati Uniti ratificano l'Accordo di Parigi sul clima


La Cina e gli Stati Uniti hanno ratificato l’accordo per le riduzioni di gas serra raggiunto lo scorso dicembre a Parigi, durante la Cop21. Questa presa di posizione faciliterà l’entrata in vigore del testo prodotto dalla Conferenza sui cambiamenti climatici già entro la fine dell’anno. Sull’importanza di queste ratifiche, Eugenio Murrali ha sentito Matteo Mascia, coordinatore del Progetto etica e politica ambientali della Fondazione Lanza di Padova:

R. – E’ una notizia assolutamente positiva: non dimentichiamo che la Cina è il principale emettitore di gas serra a livello globale. La scelta della Cina rappresenta un elemento politico estremamente importante, che non potrà che essere da traino per altri Paesi. ma possiamo dire anche che ha un forte valore economico: l’adesione all’Accordo di Parigi presuppone mettere in campo obiettivi sempre più ambiziosi per quanto riguarda l’abbandono delle fonti fossili e lo sviluppo di fonti energetiche alternative.

D. – La Cina deve tagliare di molto le sue emissioni e aumentare anche le fonti di energia non fossili: è un obiettivo plausibile?

R. – Certo, è un percorso impegnativo, indubbiamente, tenendo conto che la Cina si è data un tempo, anche se nell’Accordo di Parigi è indicata una revisione e un impegno per raggiungere picchi di emissione al 2025. Se mettiamo insieme Cina e Stati Uniti, hanno ridotto le emissioni di CO2 in modo tale da compensare l’aumento di emissioni che è avvenuto, invece, da parte di altri Paesi dell’Asia e del Medio Oriente. E questo è un dato di fatto. Importanza hanno, ovviamente, sul fronte cinese, il forte inquinamento che caratterizza questo Paese: di recente, la Cina ha anche approvato una serie di normative contro l’inquinamento. I dati che abbiamo sono provvisori però ci dicono che complessivamente la Cina si sta muovendo nella giusta direzione.

D. – Dagli accordi che sono scaturiti dalle varie conferenze sul clima, spesso c’era un sistema di raggiungimento degli obiettivi oppure di multa qualora non si fossero raggiunti. Questo sistema rimane in piedi?

R. – Parigi ha un accordo universale perché ha visto 195 Paesi che hanno sottoscritto l’Accordo. Di questi 195 Paesi, 187 hanno presentato impegni concreti di riduzione delle emissioni e questi 187 Paesi rappresentano in qualche modo il 95% delle emissioni, su scala globale. Per il momento in molti hanno sottoscritto, ma la ratifica riguarda solamente un numero ristretto di Paesi. Detto questo, l’Accordo di Parigi non ha dettagliato quali siano le modalità di verifica e di controllo per quanto riguarda gli impegni nazionali: non ci sono, quindi, modalità di controllo e di sanzioni. Su questo fronte è chiaro che anche a livello internazionale bisogna che da qui ai prossimi passaggi – e il prossimo passaggio è la Cop 22 che ci sarà in Marocco questo inverno e poi successivamente nel 2018 un primo punto di valutazione dell’Accordo di Parigi – bisogna lavorare, perché il Segretariato internazionale possa avere degli strumenti in grado di controllare e sanzionare.

D. – Cosa rappresenta la firma di Washington per il futuro del pianeta?

R. – E’ un po’ l’equivalente della Cina, sostanzialmente, cioè ha una forte valenza politica prima di tutto. Sappiamo che gli Stati Uniti d’America sono storicamente, tra i Paesi occidentali, quelli che hanno le maggior perplessità rispetto alla questione del cambiamento climatico, anche se il problema di fondo sarà vedere come andranno le presidenziali. E dopo, anche in questo caso, una forte valenza economica. Cioè, è chiaro che gli Stati Uniti d’America mettono in moto un percorso virtuoso che spingerà l’economia statunitense – e quindi l’economia mondiale – verso la decarbonizzazione.

D. – Cosa significherebbe a livello pratico raggiungere questa diminuzione delle temperature globali?

R. – Grandi cambiamenti, nel senso che se l’obiettivo sostanzialmente è -60% di emissioni al 2050, bisogna – per esempio – ripensare completamente il sistema dei trasporti. Per quanto nel giro di 10-15 anni l’auto ibrida o l’auto elettrica prenderanno sempre più piede in Europa e nel mondo, è evidente che dovrà essere potenziato in modo significativo il trasporto collettivo e quindi il trasporto su terra. In secondo luogo, un’altra trasformazione fortissima sarà legata alla questione edilizia e al riscaldamento e al raffreddamento delle nostre case: tutti saremo chiamati ad assumere iniziative per ridurre le emissioni correlate al riscaldamento o al raffreddamento domestico. Un terzo ambito nel quale saremo chiamati ad attuare un cambiamento è, per esempio, nelle attuali diete alimentari. Noi sappiamo quanto oggi il cibo incida fortemente sulla produzione di CO2 e di altri gas serra, e quindi sul cambiamento climatico. Sappiamo quanto, per esempio, emetta un kg di carne rispetto alla verdura… Saremo chiamati quindi a una trasformazione delle diete alimentari e a un regime di dieta differente, in cui ci sia meno consumo di carne e più consumo di verdura o di legumi: ricordiamoci che le Nazioni Unite hanno definito questo come l’anno mondiale dei legumi, proprio perché essi rappresentano un elemento fondamentale anche nella direzione della lotta al cambiamento climatico. Quindi, questo è un aspetto assolutamente interessante su cui saremo chiamati a impegnarci tutti e sul quale in qualche modo un contributo di sensibilizzazione è certamente venuto anche dalla recente Expo, che si è svolta in Italia e che aveva proprio al centro la questione della sostenibilità del cibo.








All the contents on this site are copyrighted ©.