2016-08-31 12:51:00

Birmania: al via storica Conferenza di pace. Il ruolo della Chiesa


E’ iniziata oggi in Birmania la Conferenza di Panglong del XXI secolo, la più grande assemblea di pace organizzata dal 1947. I lavori sono stati aperti dall’intervento del Segretario generale della Nazioni Unite Ban Ki Moon. L’obiettivo del governo, guidato dalla Lega per la Democrazia, il cui segretario è il premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, è quello di garantire la fine dei conflitti interni in un Paese da decenni teatro di scontri tra i diversi gruppi etnici e, in particolare, di demilitarizzare i gruppi armati garantendo loro più partecipazione alla gestione del Paese tramite un sistema federale. Salvatore Tropea ha intervistato Carlo Ferrari, presidente dell’Associazione per l’Amicizia Italia-Birmania. 

R. – Questa conferenza inizia un percorso di riconciliazione nazionale che era dichiarato da Aung San Suu Kyi, come obiettivo primario del nuovo governo. E’ una conferenza che si riallaccia idealmente alla Conferenza che era stata indetta dal padre di Aung San Suu Kyi, Aung San, il Padre della Patria birmana, e che era stata il prologo all’indipendenza della Birmania. E’ una conferenza che mira a rappacificare quasi 70 anni di conflitto etnico: sappiamo che la Birmania è un Paese diviso in una pluralità di etnie; ci sono alcune etnie principali, ma il numero delle etnie supera i 130. E una buona parte di queste etnie, soprattutto quelle al confine con la Cina e con l’India, sono in un conflitto armato che le impegna ormai da diversi decenni.

D. – La presenza del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, potrà favorire il dialogo tra le parti?

R. – La presenza di Ban Ki-moon e anche di Kofi Annan nella commissione è proprio un segnale che il governo attuale della Birmania vuole dare del fatto che si tratti di un problema internazionale; si riallaccia anche a delle dichiarazioni che ha fatto Sung San Suu Kyi, del fatto che la Birmania, dopo una dittatura lunghissima, deve recuperare uno status internazionale e quindi, giustamente, ha dato – con l’arrivo di queste persone – uno status internazionale a questa Conferenza. Chiaramente, questo non ci deve fare illudere che i problemi siano di facile soluzione: sappiamo che la situazione, in alcune aree del Paese, è decisamente difficile, non soltanto a causa dei conflitti etnici ma anche per quelli religiosi. Quindi è un primo passo a cui si è voluto dare un rilievo internazionale.

D. – Quali i punti più importanti per un avvicinamento e favorire la pacificazione?

R. – C’è la nuova volontà del governo di perseguire a tutti i costi la pacificazione nazionale: questo è stato dichiarato a più riprese sia dallo State Counsellor, Aung San Suu Kyi, sia dal Presidente Htin Kyaw; c’è un discorso legato anche alla nuova situazione internazionale, quindi recentemente Aung San Suu Kyi è stata a colloquio in Cina, c’è crescita a livello di pil e grandi possibilità a livello di turismo; si apre per il Myanmar una possibile prospettiva di crescita che, se ben condotta, potrebbe portare anche nelle aree marginali del Paese un livello di vita e di welfare decisamente maggiore. Ecco, questi sono gli argomenti del nuovo governo del Myanmar porterà alla conferenza per indurre anche i gruppi etnici che sono stati in questi anni in conflitto armato, a cambiare l’atteggiamento. In questa ottica si lega anche l’arrivo di una delegazione parlamentare italiana che sarà capitanata da Pierferdinando Casini nella sua qualità di presidente della Commissione Esteri, che incontrerà Aung San Suu Kyi a Naypyidaw. L’Italia ha un interesse forte a supportare il processo democratico in Birmania e quindi saranno ulteriormente rafforzati i rapporti in essere e anche l’aiuto e l’ausilio che può dare l’Italia al processo di pace. Infine, al Chiesa birmana e direttamente il card. Charles Maung Bo, ha attualmente un ruolo forte nel processo di pace e si è visto a più riprese in questi mesi che può agire come collante tra le diverse etnie, tra le diverse religioni, ed è in prima linea sicuramente nel supporto a questo processo di pace del nuovo governo.

D. – Quali sono invece i punti per i quali c’è ancora maggiore distanza, e cosa si deve ancora fare?

R. – C’è questa volontà da parte di diversi di questi gruppi etnici, di cercare di capire se sia veramente possibile una riconciliazione perché vedono, in questo momento, un interlocutore più affidabile di quello che avevano avuto negli ultimi anni. C’è un ruolo dell’esercito, che peraltro non è sotto il controllo del governo attuale perché la Costituzione birmana dà ai militari tre ministeri chiave, tra cui gli Interni, il controllo delle frontiere, per cui … E’ sulla forza di questo processo che si giocherà nei prossimi mesi anche la partita sul ruolo dell’esercito e di come risponderà a questa partita.








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