2016-08-23 16:27:00

All'Aja il processo per la distruzione dei mausolei in Mali


E’ già stato definito storico: il processo in corso alla Corte penale internazionale dell’Aja a carico di Ahmad Al Faqi Al Mahdi, reo confesso di distruzione di cultura a Timbuctu, in Mali. L’uomo, militante della milizia islamica Ansar Dine, è colpevole di aver ridotto in polvere 14 mausolei storici, una moschea antica e numerosi manoscritti antichi,  patrimonio dell’Umanità Unesco, costruiti quando  Mali era uno dei grandi centri culturali dell'Islam medioevale. Al Mahdi diede l’ordine di distruggere le costruzione perché ritenute “totem di idolatria”. Maria Carnevali ha intervistato Roberto Virzo, docente di Diritto Internazionale presso l’Università degli Studi del Sannio

R. – E’ un processo storico perché per la prima volta viene sottoposta a giudizio una persona che è accusata  di aver distrutto il patrimonio culturale dell’umanità. E’ un processo storico perché la Convenzione dell’Aja del 1954 non era stata applicata mai a livello internazionale e ora, invece, da quando è in vigore lo Statuto della Corte penale internazionale, che prevede tra i crimini di guerra anche questa fattispecie, si può finalmente procedere a instaurare un processo nei confronti di chi intenzionalmente distrugge beni che fanno parte del patrimonio comune dell’umanità.

D. – Quali conseguenze avrà il processo?

R. – Qualora venga condannato, sarà una sentenza molto importante sia dal punto di vista della opinione pubblica, perché verrà dato grande risalto al fatto che non possono essere considerati impuniti i crimini di una tale gravità, come quello della distruzione del patrimonio culturale; e dall’altra parte, anche per quello che riguarda lo studio teorico del diritto internazionale, perché si tratterà della prima sentenza di un tribunale internazionale che qualifica come crimine questa fattispecie specifica.

D. – Quanto la premeditazione e l’intenzionalità del reato contribuiscono ad ampliare la responsabilità del crimine stesso?

R. – Si tratta sicuramente di un aspetto determinante che la Corte dovrà valutare. L’articolo 25 dello Statuto della Corte penale internazionale prevede, appunto, diverse graduazioni, cioè se l’autore del crimine ha agito dando esecuzione a un ordine o se invece è proprio l’istigatore, l’autore, il pianificatore del crimine. Nel caso di specie, l’imputato è considerato come la persona che non solo ha eseguito materialmente – era il picconatore – ma anche quello che aveva pianificato e aveva addirittura istigato altre persone a distruggere il patrimonio culturale. Quindi, la situazione per al Mahdi non è facile, da questo punto di vista, perché probabilmente è la fattispecie più grave, l’ipotesi più grave, quella sua.

D. – Questo processo costituisce un modello e anche una speranza per la rivendicazione degli altri numerosi reati di distruzione di luoghi culturali, abbattuti dal fanatismo islamico perché considerati totem di idolatria?

R. – Questo è l’auspicio che tutti fanno perché, purtroppo, a partire dai casi più famosi, la distruzione delle statue di Buddha in Afghanistan da parte dei talebani, fino alla distruzione del patrimonio culturale in Siria e, appunto, in Mali, una certa visione del fanatismo religioso, che poi sfocia nel terrorismo, induce a commettere questi crimini. Si spera che il messaggio che arriverà dalla Corte penale internazionale possa costituire un deterrente per gli autori di questi crimini. E’ ancora una battaglia molto lunga quella da combattere per la protezione del patrimonio culturale. Forse bisognerebbe proteggerli questi siti, ma è già difficile proteggere la popolazione civile, e risulta ancora più complesso proteggere il patrimonio culturale.

D. – Qual è il valore simbolico delle distruzioni e, allo stesso tempo, della pena?

R. – Il valore simbolico delle distruzioni è, nella visione dei terroristi e degli autori di questi crimini di guerra, quello di distruggere qualsiasi simbolo che sia contrario a una visione rigorosa e restrittiva dell’Islam. Tra l’altro, proprio nel caso di specie, i mausolei distrutti erano islamici, ma sono stati distrutti – secondo la confessione dell’imputato – perché erano più alti di alcuni centimetri rispetto a quello che è stabilito dalle norme religiose. Si tratta veramente di una visione contraria ai valori su cui si regge la comunità internazionale, compreso il valore della trasmissione alle generazioni future di quanto di grande è stato fatto dalle generazioni pregresse. Per quanto riguarda invece il valore simbolico della pena, devo ancora una volta dire che si spera che questa pena, una volta comminata, possa fungere da deterrente nei confronti di altri autori di crimini internazionali.








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