2016-08-22 14:14:00

Turchia, intreccio di alleanze e inimicizie dietro nuovo attentato


Con 54 morti, molti dei quali bambini, e oltre 90 feriti, si aggrava il bilancio della strage di Gaziantep, nel Sud della Turchia, avvenuta sabato durante una festa di nozze curde. Il presidente Erdogan punta il dito contro il sedicente Stato Islamico, pur non risparmiando critiche al Partito dei lavoratori curdi, il PKK, e a Fetö, l’organizzazione legata a Gülen, il magnate turco in autoesilio negli Usa e accusato di essere dietro il fallito golpe del luglio scorso. Eugenio Murrali ha chiesto ad Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera, un’analisi della complessa situazione politica turca: 

R. – La situazione è confusa. Erdogan in questo momento, secondo me, non sa da che parte guardare: dopo aver trafficato con l’Is, dopo aver creato scandali finanziari, oggi si mette dalla parte di una presunta legalità; si è legato a Putin dopo averlo accusato di essere l’origine di tutti i mali, si è avvicinato ad Assad, si è irritato molto con gli Stati Uniti, ricatta l’Europa … Insomma, che cosa vuole? A meno che, in questo momento, non abbia la sufficiente freddezza per gestire il potere. Ecco perché in un Paese fondamentale come la Turchia una situazione di stallo, con un’opinione pubblica molto spaventata, con i curdi che rivendicano anche una certa autonomia che forse avrebbero dovuto avere addirittura nel 1923 - quando gli era stata promessa - la situazione è pericolosissima. Non dimentichiamo che Erdogan è stato, dopo Turgut Özal, l’unico leader che ha teso la mano proprio a questa importantissima minoranza, almeno fino a quando è esplosa la guerra in Siria e sono esplose tante contraddizioni e soprattutto si è presentato all’orizzonte un partito curdo, ma aperto a tutte le forze del dissenso – il partito di Demirtas, l’Hdp –, che riuscendo a superare la barriera del dieci percento e con successivo ingresso in parlamento, ha calamitato molte voci del dissenso contro il suo strapotere. Quindi hanno impedito, per il momento, che si arrivasse ad una legge che dava al presidente della Repubblica i poteri di una repubblica presidenziale.

D. - Nell’attentato a Gaziantep i morti sono soprattutto curdi. Questo può essere effettivamente considerato una vendetta dello Stato islamico che si sta indebolendo sul terreno e quindi delocalizza le sue azioni per  mostrare muscoli che forse non ha più?

R. - Assolutamente sì. Qui abbiamo una situazione di guerra dove amicizie e alleanze si capovolgono, cambiano... Non sai bene più quali e dove siano i punti di riferimento. In effetti, i curdi sono i nemici primi dell’Is, perché hanno combattuto sul terreno; sono un popolo fiero, disperso in cinque Paesi e costituiscono il più grande popolo al mondo senza avere diritto al proprio Stato. Dall’altra parte è un messaggio anche nei confronti di Erdogan, il quale fino a poco tempo fa trafficava proprio con l’Is per il petrolio al mercato nero. In questo momento vedo proprio una Turchia nel vuoto dell’incapacità di avere una linea, di avere una strategia credibile e di contare soltanto sulle minacce, sul carisma di Erdogan, che però riesce a consolidarsi soltanto con un clima che non mi pare assolutamente democratico.

D. - Quali posizioni sta prendendo Erdogan rispetto alla questione siriana?

R. - Il contrario di quello che diceva prima. I filmati dove si vedevano agenti dei servizi di sicurezza turchi che accompagnavano dei carichi di armi pesanti destinate a al-Nusra e all’Is; in quel momento Erdogan, che cosa diceva? Diceva che bisogna abbattere Assad. Oggi il fatto che Erdogan, su pressioni della Russia, è pronto a dire: “Io non sono assolutamente contro il regime di Assad; almeno per ora ce lo dobbiamo tenere e poi vedremo dopo”, ha sconcertato tutti. Anche questa può essere la ragione della vendetta dell’Is che si sente tradito e temo che non sarà nemmeno l’ultima vendetta di quest’Is indebolita sul campo ma ancora forte sulla capacità di attrarre simulazione.

D. - C’è poi la posizione di Erdogan di fronte all’Unione Europea. Quali previsioni si possono fare su questo accordo che rischia di saltare?

R. - Questa questione è veramente difficile. È chiaro che con la prudenza dell’Unione Europea nei confronti di questo golpe, che è durato meno del concerto di Bruce Springsteen, non credo sia in grado di rianimare davvero il negoziato con Turchia per il suo futuro ingresso, però ha senso la forza del ricatto che la Turchia può porre all’Europa: “Vi inondo di profughi”. Con Erdogan si dovrà discutere. È evidente che non si possono accettare ricatti, non si può dire: “Accettiamo, però, fai quello che ti pare nel tuo Paese anche se non rispetti i diritti umani”. L’Unione Europea se vuole continuare ad essere un’istituzione credibile, non può prescindere dai suoi principi: il rispetto dei diritti umani è sacrosanto! Se l’Unione Europea venisse a tradire questo principio, credo che si indebolirebbe fino ad un’autodistruzione.








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