Undicimila atleti di 206 nazioni, oltre 300 eventi sportivi di 28 diverse discipline. Sono i numeri che sintetizzano la 31.ma Olimpiade dell’era moderna, che si conclude questa domenica a Rio de Janeiro. Moltissimi i momenti esaltanti regalati dalle imprese dei campioni più celebrati, ma altrettante sono le storie interessanti che un evento globale come i Giochi Olimpici riesce sempre a regalare. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Cosa resterà negli occhi quando l’addetto alle luci piomberà nel buio lo Stadio Maracanã di Rio de Janeiro e le Olimpiadi passeranno dalla diretta tv ai ricordi?
Record di "periferia"
I lampi accecanti dei record certamente, il sale di
ogni competizione – su tutti il “triplete” di Usain Bolt, l’unico atleta capace di
sfidare la fisiologia dell’invecchiamento e stravincere trentenne a Rio come a Pechino
otto anni fa – e in generale le imprese sportive premiate dagli oltre 800 ori, argenti
e bronzi totali finiti al collo degli olimpionici. Tra cui, menzione d’obbligo, quelli
conquistati dai campioni di Vietnam, Kosovo, Figi, Singapore e Porto Rico, al loro
primo oro della storia e nel caso di Figi e Kosovo al primo successo in assoluto:
medaglie “umane” perché figlie di nessuna potenza geosportiva, successi di “periferia”
di quelli che piacerebbero a Papa Francesco. Insomma,
la memoria dei miliardi di telespettatori, e delle centinaia di migliaia di tifosi
che in due settimane hanno riempito gli spalti degli stadi e degli impianti carioca,
conserverà ciò che gli sarà più caro di questa 31.ma edizione. Noi scegliamo due storie
finite senza alloro, perché le rispettive protagoniste hanno conquistato il podio
della nostra ammirazione.
Vincere cadendo
La prima è la storia di pista e solidarietà che ha
fatto il giro del mondo, una stella dello spirito di Olimpia che ha riportato i Giochi
indietro di duemila anni, quando la gara si sostituiva alla guerra. E la guerra di
gambe e gomiti nella batteria dei 5000 donne che a metà gara lascia malconce a terra
la neozelandese Nikki Hamblin e l’americana Abbey D’Agostino – la prima che inciampa,
la seconda che le frana addosso storcendosi un ginocchio – finisce con la vittoria
delle sconfitte, che si rialzano e aspettandosi e sorreggendosi l’una con l’altra
arrivano zoppicando sulla linea del traguardo tra gli applausi dello stadio. Si può
cadere e perdere una gara, ma sono state Nikki e Abbey, con il loro gesto, a dimostrare
che, cadendo, si può tagliare le gambe a quel modo commerciale e antiumano di intendere
lo sport, per cui vali tanto quanto rendi altrimenti il tuo sudore e i tuoi sacrifici
non meritano né attenzioni né chance.
Piccola grande atleta
La seconda storia, meno nota, è quella di Gaurika
Singh, nuotatrice del Nepal, che il suo record a Rio l’ha firmato figurando come l’atleta
più giovane dell’Olimpiade. Gaurika ha 13 anni e 255 giorni e la sua gara nei 100
dorso ha rischiato di non farla mai perché l’anno scorso si trovava con la famiglia
al quinto piano di un palazzo di Kathmandu quando in pochi secondi una violentissima
scossa di terremoto ha polverizzato la città uccidendo 9 mila persone. La mamma di
Gaurika ha salvato la figlia e il fratello Sauren lanciandoli sotto un tavolo e poi
fuggendo con loro lungo le scale del palazzo rimasto in piedi per miracolo. Gaurika,
che da allora ha donato tutti i premi delle sue vittorie al Fondo per la ricostruzione
del Nepal, è arrivata a Rio dove non ha vinto nessuna medaglia. Ma la nostra campionessa
di umanità di queste Olimpiadi “umane” di Rio resta lei, 13 anni e una vita per dimostrare
che il cuore d’atleta non è solo una malattia ma in tanti casi una benedizione.
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