2016-08-19 14:35:00

Siria, immagini shock. Quirico: non scuotono la politica


“Basta indignarsi per foto shock, occorre chiedere con forza ai governi la pace”. E’ il commento dell’Unicef di fronte all’immagine che sta facendo il giro del mondo a simboleggiare il dramma della Siria in guerra: è il volto insanguinato del piccolo Omran, estratto vivo dalle macerie di Aleppo, dove si attende ancora l’entrata in vigore della tregua di 48 ore stabilita ieri. Il servizio di Gabriella Ceraso:

Ci saranno 48 ore alla settimana di tregua in Siria e due direttrici di ingresso degli aiuti umanitari ad Aleppo, ma non si sa ancora da quando. Questa è la realtà nonostante il "sì" di Mosca allo stop ai bombardamenti e la pressione dell’Onu che da ieri ha interrotto l’azione umanitaria della propria task force per scuotere l'azione politica. Sono in corso contatti tra Turchia e Stati Uniti sul conflitto e sul futuro di Assad, mentre dipenderebbe dal ritrovato asse Ankara- Mosca il bombardamento da parte di Damasco contro i curdi, nel nord della Siria, soldati alleati di Assad contro l’Is ad Aleppo. Dunque, a nulla per ora sono valse le ultime drammatiche immagini: il volto insanguinato del piccolo Omran, emerso dalle macerie e seduto nell'ambulanza, simbolo di un conflitto ignorato da più di cinque anni. Scalpore o ipocrisia? E poi quanto durerà l’ondata emotiva? Ne abbiamo parlato con  Domenico Quirico, inviato de La Stampa e conoscitore della realtà siriana:

R. – I cinque anni della guerra siriana formano una galleria di immagini tremende e spesso anche più terribili del bambino, che per fortuna è ancora vivo. Mi chiedo perché non siamo riusciti raccontando, fotografando e filmando, a trasformare questa tragedia così immensa e così profonda in coscienza collettiva? Penso ad altre guerre, per esempio al Vietnam… Probabilmente, perché la qualità del nostro racconto è minore e poi perché l’impatto sulla coscienza collettiva degli strumenti che noi utilizziamo si è rarefatto.

D. – C’è anche un po’ l’elemento di atrocità, talmente frequente, al quale praticamente siamo quasi assuefatti?

R. – Il limite dell’orrore è stato superato mille volte. La convivenza quotidiana con il dolore, questo è il nocciolo della tragedia siriana: la durata nel tempo e la profondità della sofferenza.

D. – Quindi,, la durata di una guerra che ci ha sfinito, che ha sfinito il popolo, ha sfinito l’opinione pubblica nel senso che ha consumato qualsiasi forma di sensibilità e che non riesce a sfondare i canali della politica, della diplomazia?

R. – Non è che ha sfinito l’opinione pubblica, non ha mai acceso la scintilla dell'opinione pubblica, che è una cosa diversa. Mi domando cosa siamo diventati, se una tragedia come quella siriana ci lascia indifferenti – parlo dell’Occidente... Una volta eravamo in grado di mobilitarici per vicende come quella siriana o addirittura meno tragiche. Quali sono i nostri punti di riferimento? Perché non abbiamo più la voglia di indignarci?

D. – A questo punto verrebbe da pensare che c’è un fronte di resistenza e di mancato coinvolgimento anche nel volere una tregua...

R. – In Siria, c’è una serie di guerre una infilata nell’altra e ci sono attori che perseguono finalità diverse. Molti o forse tutti hanno interesse che questo non si fermi, non soltanto la Russia…  E poi c’è un altro elemento, secondo me ancora più importante: in Siria nessuno ormai controlla più niente. C’è una sorta di meccanismo automatico della guerra. Come ipotesi o possibilità di intervento non c’è più diplomazia. Chi fa diplomazia? E su che cosa?

D. – E proprio sulla questione degli interessi che si intrecciano, c’è un elemento abbastanza inquietante che forse scaturisce da questo accordo-riavvicinamento Erdogan-Putin-Assad degli ultimi giorni. Sarebbero partiti dei raid proprio da parte del regime di Assad sui curdi nel nord, quegli stessi curdi che combattono con Assad ad Aleppo…

R. – I turchi sono ossessionati dai curdi, cioè dall’impedire che questi costituiscano uno Stato che faccia da richiamo per tutti i curdi, compresi quelli che arrivano in Turchia, e poi i curdi hanno anche un'ambizione, neanche tanto segreta, di riprendersi Aleppo, una città che fa parte delle loro ambizioni ottomane, mettiamola così. E comunque in Siria tutto è molto mobile: quello che c’è oggi, domani mattina potrebbe essere diverso. Nessuno controlla più niente.








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