2016-08-17 14:51:00

Mons. Ginami tra i cristiani cacciati dall'Is: qui fede è roccia


A non molta distanza ci sono le postazioni dell’Is. Ma nel campo profughi, tra  i container, le famiglie dei profughi, molti cristiani, non perdono la speranza che pure i jihadisti hanno cercato di spezzare due anni fa scacciandoli dalla Piana di Ninive in Iraq. A visitarli in questi giorni c’è mons. Luigi Ginami, a nome della “Fondazione Santina onlus”. Luca Collodi lo ha raggiunto telefonicamente in quella zona:

R. – Mi trovo in un piccolo villaggio, si chiama Arade, vicino alla città di Duoq, a pochi chilometri di distanza da Mosul e dalla Piana di Ninive.

D. – Perché la Fondazione caritativa “Santina onlus” si trova in Iraq?

R. – Perché in questi luoghi, due anni fa, dal 6 all’8 agosto 2014, l’Isis ha fatto uscire da Mosul e dalla Piana di Ninive tutti i cristiani, pena la morte o una tassa molto forte sulle case sulle quali veniva messo il nome “Nazir”, che significa “nazareno”, quindi cristiano; oppure la fuga. Molti sono fuggiti e sono in questi campi profughi che sto visitando. Ne ho appena visitato uno con 900 container nei quali vivono famiglie di yazidi. Essere cristiani qui è veramente impegnativo ed è un martirio: è cambiare completamente la propria vita per il nome di Gesù, cioè fuggire. Ieri, in serata, ho incontrato un giovane, vittima di questa espulsione; ha visto in faccia i soldati del “califfato”, ha visto la morte in faccia e mi ha raccontato storie bellissime che sto raccogliendo per portarle in Italia. Come quella di due anziani che a Mosul rifiutano di convertirsi al “califfato”; vengono sollecitati diverse volte e alla fine, con una fede grande e valorosa, vengono buttati fuori da Mosul al confine con la Piana di Ninive. Sono testimonianze forti, che fanno riflettere molto noi, in Occidente, in Europa, dove essere cristiani è più facile, ed essere cristiani significa spesso vivere una vita all’acqua di rose. Povertà, miseria, persecuzioni sono i colori dell’essere cristiano qui, in Iraq, al confine con la Siria, al confine con la Turchia e non lontani dall’Iran.

D. - Come vivono i sacerdoti e le parrocchie nella piana di Ninive?

R. – Prima di tutto, anche le chiese risentono di questa povertà e quindi i sacerdoti, spesso, non hanno gli stipendi, come in Italia l’8 per mille garantisce i nostri bravi sacerdoti; vivono in grande ristrettezza e cercano di portare aiuto e consolazione a queste famiglie fuggite. Ricordo che molti di questi container sono piantati nelle proprietà delle parrocchie: nei campi sportivi, nelle attrezzature delle parrocchie. Così i sacerdoti cercano di stare vicini, con la preghiera ma anche con la consolazione e l’aiuto, a queste famiglie che mancano di tutto. Molte di queste famiglie, poi, fuggono da qui, dall’Iraq, perché il ritorno in questi luoghi è davvero difficile e veramente la paura si sente forte. Ricordiamo che a 45 minuti di auto da qui c’è l’Isis, territori dove il “califfato”, dove “Daesh”, è presente. Quindi la paura di “Daesh” c’è, in queste terre. E anche questa è un’altra componente che forse dovremmo un po’ sperimentare sulla nostra pelle: avere vicino, sentire il respiro di chi non la pensa come noi e che vuole annientarci. “Quando siamo deboli, è allora che siamo forti”: questa frase di Paolo mi sembra che qui sia particolarmente vera e particolarmente significativa.

D. – Mons. Ginami, chi vive nei campi profughi ha ancora speranza di una vita normale?  

R. – La speranza è quella della redenzione del dolore: quando si soffre, quando si lascia tutto per il Signore, Gesù ci dice che ci ridarà 100 volte tanto. E’ la fiducia proprio in questo: “Chi avrà lasciato casa, fratelli, sorelle, madre, figli, campi in nome mio, avrà 100 volte tanto in questa terra di eredità eterna”. Gesù questo lo dice ai suoi discepoli, ma noi lo possiamo anche trasferire qui, vicino alla Piana di Ninive, dove sto vivendo in questi giorni. Essere cristiani qui significa perdere tutto, essere disposti a perdere tutto. Rilancio una domanda a chi ci sta ascoltando in questo momento: tu che stai ascoltando, saresti disposto a perdere tutto per il Signore Gesù? Se non recuperiamo questa identità profonda cristiana, anche il nostro confronto con “Daesh” in Iraq o altrove sarà perdente. Dobbiamo riscoprire profondamente la nostra identità cristiana, coltivarla con la conoscenza, con la testimonianza e con la carità.








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