2016-08-16 09:18:00

Gaza. P. Abusahlia: ricostruzione ferma, la gente è stremata


Nessuna ricostruzione per la striscia di Gaza e un aumento demografico che pare non avere alcuno sbocco. E’ la situazione a due anni dall’ultima campagna militare israeliana nella Striscia, contro il lancio di razzi da parte dei miliziani di Hamas. La popolazione vive nell’isolamento e nella frustrazione e la minaccia di una nuova guerra è sempre più forte. Gabriella Ceraso ha raccolto la drammatica testimonianza e l’appello a non dimenticare questa realtà, del direttore della Caritas Gerusalemme, padre Raed Abusahlia.

R. – Dopo la fine della guerra, l’8 agosto 2014, la situazione va peggiorando. Ci sono due milioni di persone nella più grande prigione a cielo aperto. Tutti sanno che avranno bisogno di cinque anni e di cinque miliardi di dollari per ricostruire quello che è stato distrutto in 52 giorni. I soldi non sono arrivati, i nostri amici israeliani non lasciano entrare la materia prima per ricostruire, forse hanno paura che queste materie possano essere utilizzate da Hamas per costruire questi tunnel. Quindicimila mila case sono state completamente distrutte. Non hanno neanche tolto le macerie e anche per fare queste operazioni sono necessari duemila camion. Ma il problema è questo: dove mette la Striscia di Gaza che è un piccolo pezzo di terra di 360 km quadrati dove vivono due milioni di persone, la più alta densità del mondo?

D. – Un milione di abitanti ha meno di 14 anni. Quindi, tanti giovani e tante nuove nascite…

R. – Io non so che cosa faranno questi poveri! Non troveranno lavoro! Il rapporto dell’Onu che si chiama “Gaza nel 2020” dice che se la situazione continua in questo modo, Gaza non sarà visibile e in questi primi sei mesi abbiamo avuto 24.194 nascite. Questo vuol dire che per il 2016 avremo almeno 50 mila nascite. E tra tre quattro cinque anni avremo bisogno di altre 50 scuole. Dove mettere questi bambini? Nessuno può uscire qui a Gaza. La gente è delusa, è triste e depressa. Tre guerre: 2008, 2012, 2014 e niente è cambiato nella nostra vita quotidiana dunque a cosa servono queste guerre?

D. – Perché lei dice che c’è il timore che una nuova guerra cominci?

R. – Secondo me entrambe le parti, Hamas e Israele, si preparano alla prossima guerra. Aspettano la scintilla che fa bruciare tutto.

D. – Sappiamo che tanti cristiani di Gaza sono andati via e non sono ritornati…

R. – Nel Duemila, c’erano cinquemila cristiani, prima della guerra del 2014 erano 1.313, oggi sono 1.100, perché ogni volta che Israele dà permessi ai cristiani a Natale e a Pasqua quelli che escono vengono qui a Betlemme, vanno a Gerusalemme o a Ramallah e non tornano. Il 34% delle famiglie di Gaza non ha nessuna fonte di reddito. Almeno il 45% delle persone è disoccupato, l’elettricità arriva cinque ore al giorno, l’acqua non è potabile perché è salata perciò i nostri cristiani dicono: “Se noi possiamo uscire da Gaza a cosa serve tornare in una grande prigione?”

D. – Vogliamo lanciare un appello che sia anche una speranza?

R. – Noi non possiamo perdere la speranza. Aspettiamo la nostra risurrezione che verrà. Prima di tutto, i palestinesi e gli israeliani devono mettersi intorno a un tavolo negoziale e arrivare alla soluzione del conflitto o almeno a un cessate-il-fuoco e poi la comunità internazionale deve fare pressioni per aiutare le parti a fare la pace

D. – Credo sia importante soprattutto non dimenticare quest’area anche grazie alla sua testimonianza…

R. – Noi siamo in uno stato di emergenza continuo da 68 anni. Il cuore dei conflitti nel mondo è qui a Gerusalemme... Se loro vogliono la pace a Washington, a Parigi, a Bruxelles, in Iraq, in Siria, nel mondo arabo, devono fare la pace a Gerusalemme. Gerusalemme è la porta della pace e la porta della guerra.








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