2016-08-15 08:00:00

Zimbabwe, tensione per la crisi: l'impegno delle suore per la pace


La comunità cattolica nello Zimbabwe festeggia l'Assunta in un momento di grave crisi economica e di tensione politica con i recenti scontri tra polizia e manifestanti scesi in piazza per protestare contro le condizioni di povertà e la disoccupazione. I cattolici sono appena il 10%, ma hanno una presenza incisiva in un Paese guidato fin dal 1987 da Robert Mugabe, oggi novantaduenne. Le prossime elezioni sono attese per il 2017. In questo contesto operano le Suore Maestre Pie dell’Addolorata, presenti con la loro scuola nella cittadina di Chegutu. Ascoltiamo in proposito la testimonianza di suor Aurelia Rodrigues raccolta proprio a Chegutu da Lucas Duran:

R. – L’esperienza della scuola è nata quando hanno aperto la missione qui in Zimbabwe. Le prime suore che sono arrivate qui hanno visto che c’erano tanti bambini per strada, soprattutto orfani, senza fare niente. Loro hanno iniziato un piccolo progetto con loro sotto un albero; poi l’albero ha lasciato il posto ad un piccolo centro, rimasto comunque piccolo per la quantità di bambini. Da questa necessità è nato il sogno di ideare una scuola per questi bambini. Quindi le suore si sono recate al Comune per chiedere uno spazio.

D. - Che cosa c’era al posto della scuola quando avete preso lo spazio in carico?

R. - Era una discarica fuori città, a quattro chilometri dal centro. Le suore e la comunità locale hanno impiegato sei mesi per pulire questo locale dalle siringhe, macchine rotte, … C’era di tutto.

D. - Come contribuisce di fatto la vostra scuola alla realtà sociale di Chegutu?

R. - Dopo il 2010, quando le suore hanno iniziato i progetti qui per la comunità locale, sono cambiate tante cose a Chetugu: la scuola, il livello di qualità dell’insegnamento. Dopo sei anni la nostra è tra le migliori scuole del distretto. Stiamo cercando piano piano di abbattere questo muro di competizione tra le scuole. Quello che possiamo dare in termini di aiuto, innovazioni, condivisione di quello che facciamo a livello pedagogico, lo facciamo volentieri.

D. - Si è parlato molto di fenomeno del razzismo. Qual è oggi la sensazione?

R. – Personalmente sento, anche se non sono bianca, che c’è ancora molto razzismo. Le ferite provocate nei periodi di colonizzazione sono ancora un po’ aperte e questo allontana questo contatto tra i bianchi e la popolazione locale.

D. - Le estensioni di terreno, le cosiddette “farm”, che sono state anche al centro di situazioni violente negli anni precedenti, sono oggi coltivate o si stanno perdendo? Insomma, qual è la situazione che poi tutto sommato significa anche un riflesso nell’economia del Paese?

R. - Dopo che questi “padroni bianchi delle fattorie” - come si suol dire - sono stati mandati via, la tecnica è andata via con loro. Quindi la terra è rimasta, però senza la capacità di sfruttarla al massimo, al meglio. Quindi anche oggi lo Zimbabwe, non solo per la mancanza di pioggia, ma anche per mancanza di conoscenza per sfruttare in modo migliore la terra, vive un problema serissimo legato alla sicurezza alimentare, perché non riusciamo a produrre nemmeno il necessario per la nazione.

D. - Rispetto alla situazione che evidentemente è complessa e difficile, in molti altri Paesi si potrebbe pensare che una situazione come quella che vive oggi lo Zimbabwe potrebbe creare una situazione di ribellione di violenza. Qual è l’attitudine della gente dello Zimbabwe rispetto a questa prolungata situazione di difficoltà? C’è una voglia di ribellarsi oppure c’è pazienza e rassegnazione?

R. - Io credo che ci sia molta pazienza e speranza che le cose possano essere diverse. Per quanto conosco la popolazione, la gente qui è pacifica, è stanca di vedere guerre intorno … Quindi non si schiera verso la ribellione violenta, ma ha un tipo di resistenza anche se un po’ più informata, ma a resistere è soprattutto la speranza.

D. - Ci sono cattolici, anglicani, protestanti, musulmani e molte “realtà informali” che si legano molto anche a tradizioni locali, come spesso avviene in Africa. Tute queste realtà come convivono? Quali sono le relazioni tra i differenti credenti?

R. - Qui abbiamo veramente delle esperienze sia nella scuole, in parrocchia che in città di convivenza pacifica. La maggior parte degli studenti della nostra scuola, nonostante sia una scuola cattolica, non sono cattolici; i nostri studenti sono buona parte musulmani e protestanti. I cattolici sono solo il 20 percento, se ci arriviamo. C’è una convivenza molto bella. Loro scelgono di venire alla nostra scuola sapendo che noi abbiamo le nostre preghiere; loro partecipano in maniera rispettosa, partecipano al nostro coro. I genitori apprezzano questa spiritualità e i valori che il cristianesimo e il cattolicesimo portano.








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