2016-08-03 14:25:00

Terzo giorno di raid su Sirte: Italia offre basi agli Usa


Giunti al terzo giorno, i bombardamenti statunitensi mirati contro l’Is a Sirte sarebbero già arrivati alla fase finale dell’offensiva. E’ quanto dichiarato alla stampa dal portavoce dell’operazione “al Bunian al Marsus”. Trenta i giorni di raid previsti da Washington per liberare la città dal sedicente Stato islamico, favorire il governo di Tripoli guidato da al-Sarraj, garantire la sicurezza degli Stati Uniti e della comunità internazionale. I raid - afferma Washington - sono in linea con la risoluzione Onu dello scorso dicembre, mentre Mosca ha definito ‘illegali’ i bombardamenti.

Da parte sua il governo italiano è pronto a valutare positivamente un'eventuale richiesta di uso delle basi e dello spazio aereo se fosse funzionale a una più rapida ed efficace conclusione dei raid americani: lo ha detto il ministro della Difesa Roberta Pinotti. Intanto, sono decine i soldati fedeli al generale Haftar e al governo di Tobruk, morti ieri a Bengasi, in un attacco suicida rivendicato dalle forze del Consiglio della shura dei rivoluzionari della città, una coalizione estremista islamica. 

Secondo Gianadrea Gaiani, che scrive sul magazine on-line “Analisi Difesa", i raid aerei statunitensi contro le postazioni dello Stato Islamico a Sirte “aprono a sviluppi non necessariamente positivi per la crisi libica, la guerra globale contro il Califfato e per l’Italia”. “Le incursioni - rileva - potranno favorire la vittoria a Sirte (oltre ad aiutare la campagna elettorale di Hillary Clinton contro le accuse di Donald Trump all’amministrazione democratica di aver condotto una guerra troppo blanda contro lo Stato Islamico) ma non sono sufficienti numericamente né abbastanza prolungate da risultare risolutive nel conflitto contro lo Stato Islamico in Libia. Sul piano politico rischiano inoltre di rivelarsi un boomerang per al-Sarraj che gode del sostegno di milizie islamiste, dai Salafiti ai fratelli Musulmani, che potrebbero non gradire l’intervento diretto delle forze di Washington minando così la sua base di consenso".

Francesca Sabatinelli ha sentito in proposito Andrea Ungari, dell’Università Luiss-Guido Carli:

R. – Io non credo che basti solamente liberare Sirte con dei bombardamenti. Nonostante gli americani cerchino sempre di replicare l’idea del dominio dell’area, di bombardamenti e operazioni aeree, in realtà non sono sufficienti poi a rendere sicuro e stabile un territorio, soprattutto un territorio come quello libico che è enorme. In realtà, la liberazione di Sirte non può che poi essere accompagnata da un intervento militare diretto, i famosi “boots on the ground” (stivali sul terreno – intervento di terra, ndr). Non bastano semplicemente delle operazioni aeree per stabilizzare un Paese, uno Stato, che tra l’altro non esiste più da circa due anni. Se si è deciso di puntare su al-Sarraj come elemento che possa poi riunificare tutti i territori della Libia, credo che, se non nell’immediato, ma un intervento poi diretto degli eserciti sia necessario non solo per la sicurezza degli Stati Uniti e per quanto riguarda l’Italia, ma proprio per la stabilità del Mediterraneo. Per una serie di motivi, che non sono, come spesso si può pensare, solamente quelli energetici, che pure sono rilevanti per gli interessi dell’Italia in Libia, ma sono anche motivi di carattere umanitario, e che riguardano il regolamento di flussi di migranti che partono dalla Libia, che ormai stanno assumendo proporzioni sempre più grandi e consistenti, tra l’altro con tutto il portato di morte che colpisce poi le imbarcazioni. Ma la Libia, proprio perché è Stato fallito, e proprio per le caratteristiche delle sue coste, è diventata anche un punto in cui c’è il continuo traffico di armi, droga, ma anche di esseri umani. La stabilizzazione della Libia è un passaggio fondamentale per quella di tutto il Maghreb, innanzitutto, e poi di tutto il Mediterraneo.

D. – Anche in caso di vittoria, i rischi per i libici, i civili, restano comunque molto alti…

R. – Sono ovviamente i rischi di una guerra vera e propria. Se si prevede anche un intervento militare diretto, è chiaro che ci sarà uno scontro e questo può prevedere anche una guerra civile interna tra i due governi libici, tra i quali non si è mai riuscito a realizzare un accordo vero e proprio. C’è quindi anche l’ipotesi di una guerra civile interna, tra le varie anime, che poi sono le varie tribù, etnie, che compongono il quadro libico. Quindi, i rischi per la popolazione civile ovviamente ci sono. È pur vero che sono gli stessi rischi che ci sono stati finora, perché – ripeto – la condizione della Libia come Stato fallito e tutta questa situazione di contrasto interno tra Daesh, il governo di al-Sarraj e l’altro non riconosciuto, ha esposto la popolazione a dei rischi consistenti. Un intervento che cerchi di stabilizzare in qualche maniera il territorio – a mio avviso – in una prospettiva futura non può che andare a vantaggio della popolazione libica. I rischi che correrebbe il popolo libico certamente non sono altrettanto maggiori di quelli che sta correndo in questi ultimi anni dopo che si è disgregata l’unità statale libica.








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