2016-07-25 15:13:00

Papa ad Auschwitz, ex-deportata: orrore indicibile


Il 29 luglio Papa Francesco, in Polonia per la Giornata Mondiale della Gioventù, visiterà il campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau. E’ il terzo Pontefice a compiere questo gesto, dopo Giovanni Paolo II nel 1979 e Benedetto XVI nel 2006. Abbiamo chiesto alla signora Liliana Segre, testimone della Shoah, sopravvissuta ai campi di concentramentio nazisti, deportata ad Auschwitz a 13 anni, di commentare questa notizia e di riflettere sul senso della memoria.

 

A me questo Papa piace tantissimo. Mi piace la sua attenzione verso i più poveri, i più disgraziati. Mi sembra che porti se stesso come uomo, prima ancora che come Papa, nei luoghi che visita. Compie questi gesti senza ‘pompa magna’ e senza pronunciare parole difficili da interpretare. Sono molto contenta che vada anche ad Auschwitz e Birkenau e veda, lui, un uomo che viene dall’Argentina, questo tipo di orrore europeo. Sono convinta che durante la visita starà zitto, rimarrà in silenzio, facendo la cosa più bella che possa fare in quel luogo e obbedendo, in un certo senso, al monito di Primo Levi che diceva che ‘l’orrore di Auschwitz è indicibile’.  Penso che una preghiera in silenzio sia la cosa più bella che possa fare, senza sprecare parole.

In effetti, secondo il programma della visita, il Papa reciterà solo delle preghiere silenziose e incontrerà un gruppo di sopravvissuti e un gruppo di giusti tra le nazioni. Questa scelta le sembra la più adatta al luogo?

Sicuramente sì. E’ devo dire che è un miracolo che ci siano ancora dei testimoni della Shoah, ma è molto bello anche onorare i giusti fra le nazioni. Quelli che non hanno voltato la faccia dall’altra parte, quelli che non hanno mostrato indifferenza, vanno onorati. Io ho lottato sempre contro l’indifferenza e sono riuscita a far scrivere a caratteri cubitali la parola ‘indifferenza’ all’ingresso del memoriale della Shoah al binario 21 della Stazione di Milano. Molti si sorprendono per quella scelta. Ma io mi sono battuta perché ci fosse quella scritta: tutto ciò che è successo e succede ancora oggi, molto più che della violenza, è colpa dell’indifferenza.

Se lei potesse dire qualcosa a Papa Francesco, proprio alla vigilia di questa visita, cosa gli direbbe?

Gli direi: ‘Santo Padre, metta un sassolino, anzi, metta, sotto il muro della morte, tre sassolini da parte mia: in ricordo di mio papà, di mio nonno e mia nonna.                                                                                                               

In occasione della Giornata mondiale della gioventù in programma a Cracovia, pare che circa duecentoventicinquemila pellegrini visiteranno Auschwitz e Birkenau. Cosa ne pensa?

Sono molto contenta, soprattutto se faranno una visita mirata. A volte sento che nelle scuole si parla di ‘gita’ a Birkenau o a Dachau. A me la parola ‘gita’ fa accapponare la pelle, perché quello ad Auschwitz è un pellegrinaggio e come tale va fatto. E penso che se questi giovani andranno come pellegrini e non come gitanti torneranno molto arricchiti spiritualmente.

Ormai dal 2014 il Museo Archivio di Auschwitz-Birkenau sta pubblicando delle carte che, secondo alcuni storici, sembrano demolire definitivamente qualsiasi negazionismo. Cosa ne pensa?

I negazionisti, secondo me, non avevano bisogno di arrivare a oggi per ammettere, finalmente, di aver sbagliato. Se infatti, questi documenti non erano ancora stati pubblicati, ce n’erano tanti altri, pubblicati da storici, filosofi, testimoni oculari, che purtroppo negli anni sono sempre di meno; c’era anche gente che ha testimoniato nei processi, ma, soprattutto, c’erano già le memorie dei nazisti stessi, comandanti dei campi, gente che era addirittura entusiasta del lavoro che aveva svolto; c’erano i filmati, fatti dai tedeschi stessi. Quindi, credo che i negazionisti, se vogliono continuare a negare la Shoah, possano insistere nel farlo anche oggi: dicendo che i documenti sono falsi, che è stata tutta una messa in scena dei vincitori. Si tratta di argomenti che tutti conoscono, ma che rappresentano un bagaglio da cui è difficile disfarsi: se lo portano dentro. Io spero sempre di incontrare un negazionista. Invece, in questi 25 anni, ormai quasi 30, nei quali ho testimoniato la Shoah, ho incontrato così tante persone ma non ne ho mai incontrata una che mi dicesse che io non ho visto quello che ho visto, che io non c’ero, avevo le traveggole o ero troppo stupida per capire. Chi vuol essere negazionista, secondo me, continua a esserlo.

In questi documenti, pubblicati nel 2014, si parla dei piani per costruire un forno crematorio e dell’uso da parte dei nazisti del famigerato gas Zyklon B. Che ricordi le evocano queste parole?

Io non ho avuto mai la forza per tornare ad Auschwitz e guidare gruppi di visitatori, anche composti da personaggi importanti, come mi era stato chiesto. E questo perché, una volta uscita miracolosamente viva da là, non mi è stato possibile psicologicamente pensare di tornarci. Questo per le visioni che mi sono portata appresso tutta la vita da allora, avevo 13 anni e adesso ne ho quasi 86. Non posso che dire ciò che hanno detto in tanti, ciò che ha detto Primo Levi: ‘non si esce ma più da Auschwitz’. Quando uno ha visto quell’inferno, ha visto la cattiveria di un uomo su un altro uomo - che oltretutto non ha fatto nulla di male, non è da punire perché ha commesso delle atrocità – cosa può pensare? Come si può sentire? Cosa vuole che mi venga in mente sentendo quelle parole? Mi vengono in mente i miei, mio padre e i miei nonni, passati per il camino, morti senza tomba… Cosa posso pensare? Io l’ho visto quel fumo, l’ho visto quel fuoco, tutti i giorni che sono stata lì, nel campo.

Oggi, oltre al negazionismo, sappiamo che esistono gruppi cosidetti ‘neo-nazisti’ e si parla di una crescita della xenofobia in Europa. Quando legge di questi fatti che riflessioni fa?

Come ho raccontato una volta ai ragazzi di una scuola, i movimenti neo-nazisti mi ricordano dei giovani della ‘Hitler-Jugend’ che noi, misero corteo di prigionieri che andavamo tutti i giorni alla fabbrica di munizioni Union, quando uscivamo dal lager per andare a lavorare, incontravamo durante il tragitto. Questi ragazzi che erano nostri coetanei, con le loro divise, le biciclette e quest’aria spavalda, ci sputavano addosso e ci dicevano delle parole spaventose. Quando più tardi ho imparato il tedesco e ho capito che termini ci rivolgevano, io li ho odiati. Ma, quando poi sono diventata nonna, ho capito che erano dei poveretti di cui avere pena. Con questo spirito ho potuto poi cominciare a parlare di Auschwitz. Io, metto sempre assieme l’immagine di quei ragazzi della Gioventù hitleriana e i movimenti neo-nazisti, perché, seppure entrambi mi facciano ancora paura, in fondo al mio cuore di vecchia donna, mi fanno pena.

Che significato ha oggi la memoria della Shoah?

Lei rivolge questa domanda a una persona che si considera una ‘missionaria della memoria’. Essere testimone della Shoah è il compito che mi sono data nella mia vita. Non sono la persona più adatta per darle questa risposta, perché io cerco sempre di tenere viva questa memoria e non solo per i miei cari, per quelle tre vite che ho perso, ma per tutti quelli che non sono tornati per raccontare – così come ho fatto io – tutte quelle facce, quegli occhi, quei colori che ho visto passare davanti a me. Certo che sono anche molto pessimista su questo punto. E penso che nel giro di una generazione o due, la parola ‘Shoah’ sarà una riga in un libro di storia.

Per questo è necessario tenere sempre più che viva questa memoria…

Infatti è la missione che mi sono data. Ma, attorno a me, gli altri testimoni con cui mi sono scambiata, non tanto ricordi, ma il piacere di aver avuto figli e nipoti nonostante tutto, si sono pian piano allontanati. Siamo rimasti molto pochi e sempre meno saremo. Io avevo allora 13 anni e per questo sono ancora oggi una delle pochissime che ha ancora la forza di raccontare, ma nel giro di pochissimi anni non rimarrà più nessuno. E allora la storia potrà essere cambiata, come racconta quel romanzo di Orwell, 1984, che io consiglio sempre ai giovani di leggere, perché, chi è al potere può sempre cambiare la storia. 








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