2016-07-14 12:54:00

Venezuela: senza aiuti internazionali il Paese è al collasso


In Venezuela continua lo stato di emergenza dichiarato dal Presidente Nicolas Maduro. La crisi economica, sociale e istituzionale ha portato più di 35 mila venezuelani ad attraversare il confine con la Colombia. Maduro respinge gli aiuti internazionali e diventa sempre più difficile trovare cibo e medicine. Nel Paese aumentano le proteste e i saccheggi dei negozi di alimentari. Gioia Tagliente ha intervistato Domenico Fracchiolla, vice direttore del laboratorio di analisi politica e sociale Luiss-Laps: 

R. – La situazione è gravissima; urge un intervento della comunità internazionale. Gli aiuti internazionali sono pronti e potrebbero arrivare nel Paese, ma la deriva che ha preso il Venezuela dagli anni di Chavez confermata da Maduro, senza avere le qualità di Chavez, impedisce al Venezuela di ricevere questi aiuti, in questa lotta ideologica che il Paese porta avanti in modo suicida.

D. – Maduro ha respinto, appunto, gli aiuti esterni: qual è la strategia?

R. – Una strategia fallimentare. Il Venezuela, negli anni della rivoluzione di Chavez, voleva diventare l’avanguardia di un nuovo modo di intendere l’economia. Ci siamo trovati di fronte ad un disastro, ad un fallimento umanitario che ha coinvolto tutta la popolazione.

D. – I vescovi locali dicono che la democrazia nel Paese è incrinata: è vero o no?

R. – La democrazia nel Paese è incrinata da tempo, per la verità, ma vi erano degli elementi che lasciavano ben sperare o, comunque, che davano un riferimento quantomeno alle dinamiche di una democrazia elettorale. Noi ci troviamo in Venezuela, in un Paese nel quale l’Assemblea nazionale è contraria alle posizioni del Presidente, e il Presidente Maduro non è riuscito a pensare a nulla di meglio che vedere la possibilità di sciogliere l’Assemblea nazionale. Abbiamo, quindi, delle chiare ed evidenti derive autoritarie, che già esistevano, ma che adesso si fanno ancora più insistenti e ancora più preoccupanti. Da un lato, quindi, il fallimento economico e sociale, perché si tratta anche di un fallimento sociale, della alternativa della rivoluzione bolivariana e, dall’altra parte, accompagnata a questo fallimento, la perdita del consenso e la necessità del regime di mostrare il suo lato più violento, il suo lato più forte e, quindi, far venir meno anche quelle che erano delle libertà, dei riferimenti ad un pluralismo limitato, che pure sopravvivevano nel Paese ed erano un barlume di speranza, torno a dire, per un ripristino della democrazia. Questo non è avvenuto. Consideriamo che in questa situazione di estrema crisi, che è una crisi prettamente economica, il Venezuela ha deciso di dare poteri straordinari al ministro della Difesa, per gestire anche ambiti che sono prettamente economici per la distribuzione dei beni. D’altra parte, se le compagnie internazionali, le multinazionali nei diversi settori – dal settore aereo alla Coca Cola, che ha deciso di chiudere i suoi stabilimenti perché manca lo zucchero, alle banche che stanno tutte abbandonando il Venezuela - ebbene un Paese autarchico, nella attuale comunità internazionale, è impensabile. E questo fa male, perché il Venezuela è un Paese ricco di risorse naturali ed è un Paese che vede tradita quella che era la rivoluzione di Chavez. Chavez prende il potere, promettendo di trasformare questo rapporto di dipendenza dalle esportazioni che aveva il Venezuela, che diventava dipendenza politica, essenzialmente dagli Stati Uniti e dal mondo occidentale. Ebbene, se le esportazioni di petrolio, all’inizio del periodo di Chavez, rappresentavano l’85% delle esportazioni del Paese - e sono quindi il segmento fondamentale del Paese - oggi siamo al 95%. Caduto, dunque, il prezzo del petrolio, il Venezuela è stato messo in ginocchio. 








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