2016-07-14 14:06:00

Duro colpo all'Is: ucciso il capo militare Omar "il ceceno"


Abu Omar al-Shishani conosciuto anche come “Omar il ceceno”, uno dei più temuti comandanti del sedicente Stato Islamico, e braccio destro del califfo Al Baghdadi, è rimasto ucciso a Mosul in Iraq. Ad annunciarlo è la stessa agenzia del Califfato, Amaq, che per la prima volta divulga una notizia simile. L’uccisione di Omar apre adesso nuovi scenari e possibili dure reazioni da parte dei jihadisti, che negli ultimi mesi hanno perso sempre più territori in Siria e in Iraq. Salvatore Tropea ha intervistato il prof. Alessandro Orsini, direttore del Centro per lo Studio del Terrorismo dell’Università di Roma Tor Vergata:

R. – I leader delle organizzazioni terroristiche sono sempre stati uccisi, anche personaggi ben più importanti di Omar “Il ceceno”. Il punto è che, poi, sono stati sempre rimpiazzati! Lo stesso Bin Laden è stato ucciso nel maggio del 2011 ed è stato poi rimpiazzato da al-Zawahiri e al-Qaeda ha continuato a realizzare attentati terroristici. Quindi il fatto che sia stata uccisa una figura di spicco dello Stato Islamico non comporterà conseguenze troppo importanti sull’organizzazione dell’Is.

D. – Si temono reazioni da parte dello Stato Islamico?

R. – Non credo che ci sia una esigenza, da parte dello Stato Islamico, di realizzare un attentato vendicativo: lo Stato Islamico cerca di lavorare a spron battuto per colpire le città occidentali ed altre città del Medio Oriente, che sono direttamente coinvolte nella lotta contro lo Stato Islamico. Quindi non credo che ci sarà un’intensificazione di questa attività terroristica, perché lo sforzo è già massimo: diciamo che l’Is non può fare più di quello che sta facendo.

D. – Per la prima volta una notizia del genere è stata divulgata dallo stesso Stato Islamico…

R. – Questo è il modo di procedere tipico dello Stato Islamico e anche di al-Qaeda: si tratta, anzitutto, di un atteggiamento di rispetto verso i loro capi, per cui ogni volta che si verifica una uccisione rilasciano un comunicato per celebrare la sua memoria. Da questo punto di vista non vedo una novità particolare, perché è il tipico modo di procedere delle organizzazioni terroristiche che rendono così omaggio ai leader più ammirati.

D. – La sua uccisione può essere un preludio dell’offensiva irachena per strappare Mosul dalle mani dell’Is?

R. – Questa uccisione mostra quanto lo Stato Islamico sia vulnerabile nei suoi domini principali. Non dimentichiamo che Raqqa e Mosul sono le principali roccaforti rimaste nelle mani dello Stato Islamico ed è quindi un durissimo colpo all’immagine dell’Is: se un capo dello Stato Islamico può essere ucciso in una roccaforte come Mosul, questo vuol dire che l’Is è molto debole o comunque molto più debole di ciò che noi crediamo. Questo fa ben sperare per il futuro. D’altronde tutti sappiamo che lo Stato Islamico è ormai con l’acqua alla gola e l’unica ragione per cui Mosul e Raqqa non sono ancora state liberate è una ragione politica: le grandi potenze non si sono ancora messe d’accordo per la spartizione della Siria per quanto riguarda Raqqa e soprattutto per il futuro dell’Iraq. Quindi, io direi che il problema dello Stato Islamico non è un problema militare, perché l’Is sotto il profilo militare rappresenta un fenomeno pressoché irrilevante, ma è un problema politico: soltanto quando le grandi potenze si saranno messe d’accordo sul futuro di quel pezzo del Medio Oriente, che comprende appunto l’Iraq e la Siria, lo Stato Islamico sarà spazzato via. D’altronde questo è il destino che spetta tutti i leader delle organizzazioni terroristiche.








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