2016-07-12 14:48:00

Infanticidio femminile, una piaga ancora troppo diffusa


Cina e India sono tra le nazioni in vetta alla classifica mondiale per l’infanticidio femminile, a riportarlo è l’ultimo rapporto del Centro Asiatico per i Diritti Umani (Achr). La preferenza per il figlio maschio è una caratteristica diffusa in tutto il mondo e causa più di un milione e mezzo di aborti, ma contribuisce anche a generare la piaga della tratta di donne in Asia. Sul tema Salvatore Tropea ha intervistato Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia.

R. – Non è un problema soltanto legato al tema dell’aborto, o alla selezione del sesso del bambino e del turismo riproduttivo. Sappiamo peraltro che la selezione del sesso è molto diffusa in alcuni Paesi: basti pensare alla Thailandia, dove i cinesi e gli indiani, ma anche gli europei, si recano per questa pratica. Il problema è di natura culturale, investe alcuni Paesi e sfere del mondo, e colpisce le donne, che purtroppo sono vittime. Sono donne che, anche laddove abbiano la possibilità di continuare a vivere - già questo è un dato tristissimo – sono costrette a matrimoni precoci e vittime di mutilazioni genitali. Queste donne sono vittime di ghettizzazione e di culture che purtroppo le mettono ai margini. Questo è un fenomeno che – secondo me – è stato poco denunciato e di cui si è scarsamente parlato. Forse quindi, oggi più che mai, è compito delle agenzie umanitarie cercare di fronteggiare quella che si presenta come la più grave forma di discriminazione di genere, e per la quale, così come già si sta facendo in altri settori, occorre immaginare delle soluzioni.

D. – Dal punto di vista della cooperazione internazionale e degli aiuti umanitari, cosa si è fatto e cosa si può ancora fare per contrastare questa piaga?

R. – Il dato fondamentale da cui partire è quello che si ritrova nelle policy messe in atto dalle organizzazioni umanitarie, e dall’Unicef in particolare, in molti di questi Paesi, come l’India o il Bangladesh. Queste si basano su una grande azione nel settore dell’istruzione: investimenti nell’educazione e nel dialogo con le culture, con l’obiettivo di far comprendere, soprattutto alle nuove generazioni, i danni derivanti da queste pratiche. E cercare di far capire loro, soprattutto, le opportunità che una vita sana tra uomo e donna possano far sorgere: tutto ciò è alla base dell’azione che si deve pensare di portare avanti. Oggi, ancora una volta, investire nell’istruzione è la cosa più importante. Il secondo punto fondamentale – secondo me – è cercare di non fermarsi nel dialogo: in tutte le realtà in cui ci troviamo – in un Paese come l’India ad esempio – cerchiamo di mettere in piedi dei sistemi dove le donne riescano a confrontarsi con gli uomini; a trovare però al tempo stesso delle forme di collaborazione tra loro; a scambiarsi delle buone pratiche e veramente ad unirsi per cercare di cambiare la situazione. E questo obiettivo può essere raggiunto soltanto se i nostri operatori, insieme ai governi, riusciranno ad entrare in tutte le realtà locali, nelle tribù, per riuscire a cambiare la mentalità. Ecco, il cambiamento di mentalità dipende molto dal dialogo che si riesce ad instaurare con il nostro aiuto. E poi, è vero: ci sono leggi che purtroppo non sono sufficienti e che non aiutano a fronteggiare questo tipo di situazioni. Il nostro compito – fondamentale – è quello di fare una grande pressione sui governi per cercare di far rispettare la legge. Troppo spesso, infatti, notiamo che questo tipo di culture hanno – ahimé – un’influenza anche su chi certi metodi e certe leggi deve farli rispettare; e quindi purtroppo queste norme non vengono applicate. In questi Paesi, laddove anche esistano delle norme che combattono l’infanticidio, queste vengono aggirate o addirittura del tutto violate. Di conseguenza, è fondamentale fare appello ai governi – e questo può avvenire in ambito Onu e grazie all’opinione pubblica internazionale – affinché questi si impegnino e spingano la popolazione al rispetto delle norme vigenti. Questi sono – secondo me – i tre punti fondamentali, anche perché parliamo di un delitto.








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