2016-07-12 13:56:00

Colombia: si rafforza l'impegno dei vescovi per la pace


Dopo il cessate-il-fuoco definitivo siglato lo scorso 23 giugno a L’Avana, tra il governo colombiano e le Farc, manca ormai davvero poco per arrivare alla firma finale del trattato di pace. Due le date ipotizzate, il 20 luglio e il 7 agosto, mentre si lavora agli ultimi aspetti ancora da definire: in particolare la modalità di consegna e di distruzione delle armi dei guerriglieri e l’accettazione piena da parte delle Farc del plebiscito popolare per sancire la fine del conflitto. Ma la pace non è solo la conclusione di una guerra: lo sanno bene i vescovi del Paese che guardano con speranza al futuro impegnandosi nel difficile compito di sanare “le ferite” del loro popolo. Il servizio di Adriana Masotti:

E’ corale l’assunzione di responsabilità dell’episcopato colombiano nei confronti del processo di riconciliazione che avrà inizio nel Paese dopo la firma finale del trattato di pace tra il governo e le Farc. La Chiesa colombiana si propone di essere un “ospedale da campo nel post conflitto”: lo si legge in un comunicato stampa della Conferenza episcopale diffuso al termine della propria Assemblea plenaria. Il commento di Gianni La Bella, docente di Storia Contemporanea all'Università di Modena e Reggio Emilia, che per conto della Comunità di Sant’Egidio sta seguendo la situazione:

"Mons. Castro nella sua relazione ha parlato di compassione, inclusione e perdono, come le tre autostrade su cui costruire questa nuova pedagogia della pace. E’ un lavoro molto importante. La Chiesa è la struttura presente in ogni angolo del Paese ed i vescovi ovviamente hanno una responsabilità enorme nell’aiutare la soluzione di tutti i problemi concreti che verranno dopo e che sono, ovviamente, tanti. Sostanzialmente, quindi, ricondurrei questo ad una grande opera di costruzione di una pace, che deve essere innanzitutto uno sforzo per far tramontare definitivamente questo senso di violenza e di revanche che c’è all’interno della società colombiana".

I vescovi parlano di “ferite”, ferite da tutti i punti di vista. Quindi ci vorranno progetti e anche risorse, educazione alla pace, al vivere insieme…

"Indubbiamente, il conflitto colombiano – non bisogna dimenticarlo – è un conflitto che è durato più di 50 anni e che ha coinvolto una parte considerevole della popolazione: ci sono persone che sono state coinvolte da questo conflitto a partire dagli anni ’60 fino a tre mesi fa. Parliamo, quindi, di più generazioni. C’è chi ha perso i propri cari, chi è stato ferito, chi ha perso le proprie proprietà, chi ha visto negati i propri diritti. Tutto questo va ricostruito innanzitutto in una grande opera di memoria collettiva. Questo ovviamente non vuol dire far cadere la memoria di quanto è accaduto, ma andare avanti, non lasciando che questa memoria pietrifichi il presente e pietrifichi il futuro. Per far questo c’è un bisogno considerevole di aiuti, anche economici, perché si tratta anche di risarcire tante situazioni che sono state devastate da questo conflitto. E su questo, il compito e il ruolo della comunità internazionale deve essere molto attento, perché ovviamente la Colombia non ha da sola le forze per far questo. Già alcuni Stati europei – e la stessa Unione Europea - si sono dichiarati disponibili ad organizzare una sorta di conferenza di Stati donatori, per sostenere il processo di pace. Il problema è che questo si concretizzi anche dal punto di vista pratico in un supporto reale ed immediato".

I vescovi colombiani chiedono alla loro gente di partecipare “con un voto informato e in coscienza” al plebiscito che sarà indetto per sancire la pace. Perché il bisogno di questo invito? Ancora Gianni La Bella:

"Bisogna fare una premessa: questo processo viene dopo tanti, tanti tentativi falliti. I colombiani, quindi, sono un po’ prevenuti nei confronti della pace, nel senso che c’è un po’ di scetticismo che questa sia veramente “la volta buona”. Il plebiscito è un grande strumento democratico, però questo accordo che è stato negoziato è frutto di un lavoro di tre anni, quindi di un lavoro complesso, di un lavoro anche tecnico, che è difficile da spiegare. Con questo plebiscito, l’approvazione definitiva delle sorti della pace è nelle mani di tutto il popolo colombiano. E’ molto importante, quindi, che i vescovi facciano capire e che aiutino le persone a superare ogni forma di prevenzione, ogni forma di scetticismo, ogni forma di rassegnazione e che abbraccino a piene mani questa grande opportunità. La voce della Chiesa in Colombia è una voce autorevole. La Conferenza episcopale è una grande istituzione, che ha grande consenso sociale, grande autorevolezza. Quindi un parere favorevole in questo senso può aiutare il popolo colombiano a fare una scelta, appunto, cosciente e nello stesso tempo convinta. E bisogna anche aiutare l’altra guerriglia a sedersi a questo tavolo, cosa che mons. Castro ha detto nella relazione introduttiva: aiutare, cioè, l’Eln, (Esercito di liberazione nazionale) che in questo momento è ancora incerto. Ed io personalmente, assieme a due vescovi colombiani, sto lavorando in questo senso: per aiutare anche l’Eln a sedersi a un tavolo negoziale con il governo per fare lo stesso percorso, anche se in forma autonoma, distinta, rispetto a quello che hanno fatto le Farc. Abbiamo fatto la pace, infatti, ma l’abbiamo fatta con uno dei contendenti; c’è anche l’altro, che è meno importante, meno significativo, ma che però è sempre una guerriglia attiva, efficace e presente nel Paese".








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