2016-07-11 13:12:00

Mogadiscio ancora sotto attacco di Al Shabaab: morti 11 militari


In Somalia, a Mogadiscio, continuano gli attacchi da parte dei miliziani somali di Al-Shabaab. Questa mattina l'attacco a una base dell’esercito somalo a circa 50 km dalla capitale. I terroristi islamici affiliati di al-Qaeda hanno usato un’autobomba e poi un comando armato, uccidendo almeno 11 militari.  Gioia Tagliente ne ha parlato con Arduino Paniccia, docente di studi strategici dell’Università di Trieste, esperto in relazioni internazionali:

R. – La situazione somala si è, in realtà, stabilizzata seppur parzialmente nel corso dell’ultimo anno. Certo, non è facile per un Paese in guerra da un quarto di secolo e nel quale opera forse la più forte cellula islamica affiliata ad al-Qaeda, che è al-Shabaab. Quindi la situazione è in miglioramento ma naturalmente restano una serie di grandissimi problemi e non solo militari, ma anche economici.

D. – Qual è il movente degli al-Shabaab?

R. - Al-Shabaab non vuole ovviamente la stabilizzazione del Paese e soprattutto gioca anche contro il Kenya. Uno degli obiettivi di al-Shabaab è la missione militare dell’Unione Africana e naturalmente i rappresentanti delle Nazioni Unite: cerca di colpire a livello internazionale per impedire, appunto, che la Comunità internazionale stessa aiuti anche economicamente il governo filo-occidentale di Sheikh. Quindi continua a colpire con l’obiettivo di evitare un forte intervento internazionale, che è indispensabile alla Somalia per riprendersi e per ripercorrere un cammino di stabilità.

D. – Questi continui attacchi raccontano come le istituzioni locali siano ancora molto deboli e che forse ci vorrebbe una maggiore cooperazione internazionale?

R. – Certamente la missione militare dell’Unione Africana non è stata sufficiente, soprattutto perché all’interno della missione le truppe kenyote hanno tentato, più volte,di agire indipendentemente e ovviamente regolando i conti con al-Shabaab. E questo sicuramente è stato un punto di debolezza. Ma dobbiamo anche prendere atto che nel Summit di Nairobi di maggio si sono presentati tutti i grandi investitori internazionali, con l’intenzione di riuscire ad aiutare ed eventualmente rafforzare la missione militare dell’Unione Africana e anche di riprendere tutto il piano di rifacimento delle infrastrutture, delle scuole, degli ospedali, che è fondamentale per riportare quantomeno la parte centromeridionale della Somalia a uno stato di vita decente.

D. – La Somalia è anche crocevia per il flusso migratorio, con il triste dato dei criminali che trafficano con gli esseri umani…

R. – Questo avviene nelle zone soprattutto a nord del Paese, delle quali in questo momento non ci siamo occupati, che sostanzialmente si sono dichiarate indipendenti, anche se non riconosciute da nessuno, e che sono state il perno della pirateria e adesso sono il perno del traffico di esseri umani. Io credo che il governo oggi faccia fatica a coprire i due obiettivi: se si vuole veramente combattere questo vergognoso traffico, ciò va fatto con moltissime forze internazionali. Quindi, l’aiuto internazionale non solo deve andare anche adesso per la parte economica al governo in carica, ma deve soprattutto coprire la parte della lotta al traffico di esseri umani, che l’attuale governo somalo non è assolutamente in grado di fare, perché già l’impegno contro al-Shabaab è quasi al di sopra delle proprie forze.

D. – Come si interviene in una situazione come quella somala, che è del tutto peculiare rispetto a quella della Libia, Iraq e Siria?

R. – La guida delle operazioni, seppur in maniera non eclatante e non rilevante, è passata oggi nelle mani di Gran Bretagna e Stati Uniti, più alcuni altri Paesi, anche lontanissimi come - per esempio – il Giappone. E' strano che l'Italia, che poteva essere in prima linea e lo è stata per molti anni, sia oggi assolutamente nell’ombra. Questo, a mio parere, non porta grandi vantaggi, perché abbiamo visto più volte, com’è stato sottolineato anche nelle fasi dell’Iraq, che l’intervento degli Stati Uniti  non ha portato i risultati che si speravano, anzi spesso non è riuscito a portarli affatto. Comunque, in questo momento, è l’asse Gran Bretagna-Stati Uniti che, in qualche modo, sta guidando sia la parte degli investimenti esteri, sia più a latere la consulenza di tipo militare, che è notevolmente aumentata da quanto le Nazioni Unite, nel 2013, hanno abrogato il blocco delle forniture di armamenti al nuovo esercito somalo. Dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea appare chiaro che l’Europa, in questo momento, soprattutto a causa dell’uscita di scena dell’Italia, non è l’interlocutore della vicenda somala. Non resta, quindi, altro che trattare a livello internazionale, in sede Nazioni Unite, con gli Stati Uniti, cercando di trovare una linea comune.








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