2016-07-11 13:10:00

Iraq. Acs nei villaggi liberati dalla violenza dell'Is. Solo macerie


Rimangono soltanto macerie a Telskuf, villaggio iracheno a una trentina di km da Mosul liberato in maggio dal controllo del sedicente Stato islamico (Is). Lo ha visitato nei giorni scorsi una delegazione di Aiuto alla Chiesa che Soffre, che dal giugno 2014 ha realizzato interventi in Iraq per oltre 20 milioni di Euro. Tutti gli abitanti, inclusi gli oltre 12 mila cristiani che lì vivevano, hanno lasciato le loro case ormai due anni fa, quando i gruppi jihadisti conquistarono larga parte della Piana di Ninive. I cristiani della zona sono tuttora rifugiati ad Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, o ad Alqosh, unica città cristiana risparmiata dalle violenze, nonostante l’Is continui a perdere terreno, dopo la pesante sconfitta delle scorse settimane a Falluja: secondo un’analisi del Centro studi britannico Ihs, il sedicente Stato islamico ha perso nella prima metà del 2016 il 12 per cento del territorio sul quale esercitava il controllo in Siria e in Iraq. Nella zona di Ninive, nelle ultime ore almeno 47 miliziani dell'Is sono rimasti uccisi in un bombardamento aereo della coalizione internazionale. Intanto, scenari come quello di Telskuf continuano purtroppo ad essere frequenti, come spiega Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre - Italia, intervistato da Giada Aquilino:

R. – In questa avanzata sia da parte dell’esercito del governo iracheno, sia da parte delle truppe dei peshmerga curdi si stanno riconquistando alcuni territori, alcune città, alcuni villaggi. Più che frequenti questi scenari sono la regola fissa, nel senso che, laddove si riesce a rientrare in questi luoghi, si assiste a scenari apocalittici: si trovano esclusivamente macerie. E qui non è in discussione il fatto che siano state date alle fiamme le auto o che ci possano essere dei fori di proiettile sui muri. Si trovano distrutte le abitazioni private e i luoghi di culto, i luoghi di preghiera, si trovano decapitate le statue sacre e le immagini della Madonna, perché nella follia e nel fanatismo accecanti delle truppe del Califfato islamico l’obiettivo – nel momento in cui si occupavano i territori – era quello di cacciare tutte le minoranze religiose, e i cristiani innanzitutto, al fine di sradicare totalmente questo o quel gruppo dal proprio territorio. Se ne dovevano eliminare le tracce: si dovevano bruciare i libri, si dovevano devastare i movimenti e i luoghi di culto, in alcuni casi le chiese sono state trasformate in moschee e ci sono immagini di croci abbattute, sostituite da bandiere nere del Califfato islamico. È quello che, liberando i territori, si sta trovando sistematicamente.

D. – Nel caso di Telskuf, da due anni gli oltre 12 mila cristiani della zona sono rifugiati ad Erbil e Alqosh. Cosa raccontano?

R. – Sono stato ad Erbil poche settimane fa. Raccontano di attimi, momenti nei quali tutti hanno dovuto maturare la decisione di fuggire, di scappare, di lasciare la loro vita per poter salvare le proprie famiglie. L’alternativa era convertirsi all’islam - e quindi rinnegare le proprie radici e la propria identità religiosa - oppure la morte.

D. – Anche grazie ad Aiuto alla Chiesa che Soffre, che ha realizzato molti interventi, donando scuole, prefabbricati, viveri, assistenza medica, come vivono queste persone oggi?

R. – Ci sono luci e ombre. Le luci sono rappresentate certamente, a distanza di due anni, dal fatto che grazie in forma pressoché esclusiva alla Chiesa locale hanno avuto la possibilità di inserirsi e direi anche di integrarsi, per esempio, nel tessuto di quella che è la comunità di Erbil. L’integrazione è avvenuta anzitutto grazie alla “voce scuole”: 7 mila bambini, tra Erbil e le zone confinanti, hanno avuto la possibilità di riprendere gli studi e lo fanno in scuole meravigliose e con un corpo didattico eccellente. Penso ad esempio alla collaborazione con le suore della Congregazione di Santa Caterina ad Erbil. Vivono tuttavia però - e queste sono le ombre - in condizioni a dir poco disagiate perché vivono magari in 8 persone in container tra i 18 e i 20 metri quadrati nella migliore delle ipotesi; oppure vivono in case prese in affitto con due soli bagni e tre famiglie ad alloggiarvi, quindi 20 persone più o meno. Vivono in condizioni ancora disagiate, ma con uno spirito, un sorriso e una fede incrollabili e hanno un solo desiderio: tornare a casa loro.

D. – Le ultime informazioni riferiscono che il sedicente Stato islamico starebbe perdendo terreno. Tra queste persone come si vivono queste notizie?

R. – Forse non ci credevano neanche loro fino ad alcuni mesi fa. Non che si possa immaginare a breve il rientro a Mosul, la roccaforte di questo sedicente Stato islamico, però è chiaro che le sconfitte che sul campo stanno riportando gli uomini del Califfato segnano e concretizzano la speranza.








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