2016-07-11 13:47:00

Chiese di periferia, sono sempre meno gli spazi educativi per i giovani


Non è certo un segreto quello legato alle periferie romane, ancora oggi vivono un certo disagio racchiuso non solo dalle difficoltà riscontrate per la cattiva viabilità e quasi assenza di mezzi pubblici, ma anche per la loro collocazione geografica. Costrette ad assumere uno stato di emarginazione, che le porta ad allontanarsi fisicamente e mentalmente dal cuore pulsante della comunità ecclesiale. Anche le parrocchie di questi luoghi, ai margini della società, sembrano risentire un cattivo stato di salute. Papa Francesco in passato ha manifestato la sua tristezza nel vedere chiuse alcune chiese per la mancanza di mezzi adeguati di sussistenza. I problemi non mancano e sono all’ordine del giorno. Don Nicola Colangelo, parroco della chiesa di Sant’Ilario di Poitiers, ha approfondito l’argomento nell’intervista di Michele Ungolo:

R. – La chiesa delle periferie ha un’espressione più naturale, non ci sono condizionamenti, la gente vive anche una certa semplicità, vivono un certo calore umano che deriva dal fatto che sono persone emigrate da altre parti dell’Italia o del mondo e non trovando collocazione al centro vivono nella periferia e riescono ad amalgamarsi con altre persone che già in passato sono emigrate in questi ambienti.

D. - Da quanti anni si trova in periferia? Quali difficoltà ha riscontrato?

R. - Per  molti anni mi sono ritrovato in tante periferie, quindi c’è un rapporto del tutto umano con le persone ed ho capito che la pastorale deve essere interpersonale con ogni persona in base al passo del Vangelo che dice: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. Le difficoltà sono sollecitate dai condizionamenti pubblicitari e televisivi; si vuole una rivoluzione culturale che faccia capire che ad esempio, l’attacco all’extracomunitario non è accaduto perché è avvenuto nelle periferie, ma che i condizionamenti istigano più la divisione che la comunione. L’altra difficoltà della nostra parrocchia è che non abbiamo spazi educativi dove i ragazzi si possano esprimere a livello creativo.

D. - Qual è invece la situazione che si vive oggi nella sua parrocchia?

R. - Coloro che la frequentano fanno parte di un contesto culturale dove si viveva bene la tradizione nei propri Paesi, quindi sono persone che già hanno una fede incarnata e tramandata dalla propria famiglia in base a contesti culturali in cui si viveva la religiosità a livello famigliare e anche di appartenenza ad un certo tessuto sociale e culturale. Invece le nuove generazioni trovano subito difficoltà perché non abbiamo gli strumenti idonei a tramandare la nostra fede alle nuove generazioni in quanto sono disturbate da altre agenzie educative che non sono educatori, ma spesso sono dei cattivi maestri per questi giovani.

D. - Com’è il rapporto con i suoi parrocchiani?

R. – In un primo momento è stato molto bello, entusiasmante. Poi per un certo periodo c’è stata una certa stasi data dal fatto che sono state avanzate delle proposte più impegnative. Di fronte a queste, spesso le persone vanno in crisi d’identità perché un figlio impostato tutto sulla Parola di Dio e un progetto pastorale che ancora non si riesce a consolidare deve diventare mediatore tra la Parola di Dio e il vissuto. Io desidero una chiesa vivente, vivificante che sia luce per il mondo e sale per la terra e deve essere testimone per le nuove generazioni anche nel silenzio orante.

D. - Qual è la caratteristica della sua parrocchia? Dove si trova?

R. – Non abbiamo una parrocchia in superfice. Questo è un handicap sotto certi aspetti, però per la sua bellezza figurativa è una parrocchia calda. La bellezza figurativa che c’è è già stimolante per una conoscenza di Dio, del Figlio e dello Spirito Santo. La parrocchia è collocata in una borgata, Palmarola, che si trova tra Ottavia e Boccea ed è proprio alla periferia che fa da confine con Porto-Santa Rufina.








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