2016-07-05 20:26:00

Vatileaks2. Richiesta assoluzione da avvocati di Vallejo e Chaouqui


Con la richiesta di assoluzione da parte dei difensori di mons. Vallejo e Chaouqui si è chiusa la XIX udienza del processo in Vaticano per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Assenti gli imputati Nuzzi e Fittipaldi, mercoledì pomeriggio 6 luglio ci saranno le arringhe dei loro avvocati oltre a quella del legale di Nicola Maio. Massimiliano Menichetti:

E’ Emanuela Bellardini, legale di mons. Vallejo ad iniziare le arringhe conclusive del processo. Da subito delinea la strategia difensiva: punta ad affermare che il suo assistito era in uno stato di “soggezione“ nei confronti della Chaouqui. Afferma che “nelle udienze non si è rintracciata la prova del sodalizio” e che non sussiste l’associazione criminale. Per il legale “non c’è concorso con Chaouqui, Maio” e “nemmeno con i giornalisti”. Sul reato di diffusione di documenti riservati dice che i “fogli consegnati a Nuzzi e Fittipaldi” erano già stati quasi tutti pubblicati.

L’ipercontrollo di mons. Vallejo
“In questi mesi di processo - afferma Bellardini - l’immagine del mio assistito si è offuscata, si è letto di tutto”. Ricostruisce il profilo del monsignore, dagli incarichi in Spagna fino all’ingresso in Prefettura e in Cosea. Parla delle difficoltà dell’imputato nel dover imparare una nuova lingua e del gravame imposto dalle responsabilità. Lo descrive come un uomo determinato, instancabile, ma che “vuole avere il controllo su tutto”, “un ipercontrollo”. Questo tratto lo unirà alla Chaouqui. Precisa che all’inizio i rapporti in Prefettura con il personale erano buoni, cita in tal senso le deposizioni di Fralleoni, Monaco, Pellegrino e Schiaffi. Puntualizza che essere Segretario della Prefettura degli Affari Economici e anche della Cosea però creò nel tempo “una spaccatura interiore in mons. Vallejo”. Anche i rapporti con i dipendenti cambiarono.  

Ammissione consegna documenti
Da subito - ricorda - il prelato ha ammesso di aver consegnato i documenti a Nuzzi e Fittipaldi, ma i motivi – spiega Bellardini – sono da rintracciare nei rapporti con la Chaouqui: “come si sono sviluppati e sono degenerati”. Afferma che il prelato si è sentito minacciato dal “mondo” che l’imputata incarnava. L’avvocato ricostruisce che la Chaouqui fu presentata a mons. Vallejo in un incontro presso l’associazione Messaggeri della Pace. Nacque subito un’intesa, “si fidava” al punto di chiedere al marito della donna di allestire la struttura informatica di Cosea.

Sicurezza informatica
Citando la deposizione di Gauzzi - spiega - che “la sicurezza non era una preoccupazione solo del prelato”, ma anche di Chaouqui. Ritorna sulla struttura del sistema informatico di Cosea e sulla possibilità di condividere documenti tra i membri della Commissione. Evidenzia che mons. Vallejo chiese al marito dell’imputata e a lei stessa delle password che aveva dimenticato e che “la casella di posta elettronica dell'ex Segretario era usata come una sorta di archivio”.

I due periodi
Bellardini guarda al periodo agosto 2013 - febbraio 2014 quando si sviluppano i lavori in Cosea. Il clima tra Mons. Vallejo e Chaouqui è sereno e tra i due si stringe un rapporto amicale con frequentazioni a cene ed eventi. Dopo il 2014 l’avvocato presenta però un cambiamento: il mancato incarico di mons. Vallejo nella Segreteria dell’Economia e la prossima chiusura di Cosea. Racconta delle pressioni che la donna cominciò ad esercitare sul monsignore ed il tentativo dell’uomo di arginarla, di “allontanarla”, fino ad interdirle l’accesso in Prefettura. L’avvocato afferma: “è Chaouqui l’estromessa” e chiede interventi e azioni per avere un “ruolo in Vaticano”, invece mons. Vallejo è sempre Segretario della Prefettura. “Lei si lamenta e lui è un ricettore di continue lamentele e richieste”.

Compiacimento e lusinghe

L’avvocato presenta anche un altro modo in cui la Chaouqui si relazionava con il prelato, fatto di “attenzioni, compiacimento e lusinghe, che fecero breccia nell’uomo” che ebbe un “momento di debolezza”. Il riferimento è alla notte trascorsa a Firenze. Bellardini poi cita le deposizioni di mons. Vallejo sulla convinzione che l’imputata facesse parte dei Servizi segreti, le pressioni percepite, il timore di essere controllato. “Lei - spiega Bellardini - faceva credere di appartenere ad una realtà diversa”. Letti in aula, a conferma del clima di soggezione, anche alcuni messaggi WhatsApp di Chaouqui a mons. Vallejo altamente offensivi, irriguardosi e di minacce.

No vincolo associativo
Per Bellardini il fatto che mons. Vallejo avesse la piena disponibilità dei documenti evidenzia che non c’era bisogno del vincolo associativo. L’imputato darà a Nuzzi e Fittipaldi documenti già noti - sostiene in sostanza l’avvocato - spinto solo dallo stato di soggezione nei confronti della Chaouqui. Fatto questo dichiarato anche ai gendarmi dallo stesso imputato.

Chiesta l’assoluzione
Quindi il legale chiede per il suo assistito l’assoluzione con formula piena da tutte le imputazioni o - in subordine - l’assoluzione dal reato di associazione a delinquere perché il fatto non sussiste e l’assoluzione per insufficienza di prove dal reato di divulgazione di documenti riservati in concorso o - in ulteriore subordine – l’assoluzione dal reato di associazione a delinquere perché il fatto non sussiste e il minimo della pena, con attenuanti, per il reato di divulgazione di documenti riservati in concorso.

L’avvocato Laura Sgrò
L’avvocato Laura Sgrò, ha chiesto per Francesca Immacolata Chaouqui l’assoluzione con la formula più ampia da tutti i capi di imputazione. “Il processo penale si fonda sui fatti” - dice - e non su come è percepita una persona. Parla di come la sua assistita è “stata dipinta” in questi mesi dalla stampa: paragonata al boss delle fiction “Keyser Söze” o a “Mata Hari”. “Dobbiamo dirci la verità Francesca non piace – sottolinea - parla quando deve stare zitta, sfida, non abbassa lo sguardo”, però non si condanna una donna “solo perché è antipatica”. “Va assolta o condannata sui fatti”.

Accusa fondata su illazioni
Sgrò ribadisce che “l’accusa è fondata su verità che sono frutto di illazioni e chiacchere”. Punta il dito su mons. Vallejo che essendo reo confesso - dice - “ha solo cercato di alleggerire la propria posizione processuale”. Il monsignore - ricorda -  ha sempre “tenuto fuori l’imputata dal rapporto con i giornalisti ed è stata una libera scelta senza alcuna pressione”. A sostegno di questo legge una serie di messaggi WhatsApp scambiati tra Nuzzi e il prelato dai toni amicali e distesi. Lo stesso fa in riferimento a Fittipaldi.

Nessuna soggezione
Ricorda che mons. Vallejo dichiarò di aver conosciuto Nuzzi prima che gli fosse presentato dalla Chaouqui, ma che fece finta di non averlo mai incontrato. Poi si incontrarono ancora ed i rapporti si intensificarono. Sottolinea il noto scambio di password, cita altri messaggi in cui i due si diedero appuntamenti e scambiarono informazioni in un clima di assoluta tranquillità.

La falsa versione di mons. Vallejo
“E’ falsa – dice – la versione di mons. Vallejo che asserisce di essere stato spinto a consegnare il materiale ai giornalisti”. Parla della perizia psichiatrica a cui si è sottoposto il prelato nell’aprile del 2015 da cui emerge un tratto equilibrato e consapevole e non certo di soggezione. Ed è lo stesso “periodo in cui l’imputato consegna le password a Nuzzi”. Affronta la questione dei Servizi segreti e ricorda che il sacerdote chiese all’ambasciatore Massolo conferma se la donna ne facesse parte, ottenendo una smentita. L’avvocato dunque si domanda retoricamente: “quindi di cosa aveva paura?”.

La consegna dei documenti
Cita le dichiarazioni del prelato quando asserisce che ha consegnato le “password” di documenti e casella email “in modo spontaneo” a Nuzzi e che la “Chaouqui non sapeva della sua intenzione".

Rapporto Chaouqui mons. Vallejo
Sgrò conferma il rapporto solido di amicizia tra Chaouqui e mons. Vallejo, ma poi degenerato al punto che a lei viene interdetto l’accesso in Prefettura. “Mons. Vallejo dice di temere per la sua vita" e parla di un “certo mondo” dietro alla Chaouqui, ma vuole frequentare "le amicizie” della donna “anche senza di lei”.

Le mezze verità di mons. Vallejo
L’avvocato attacca la credibilità dell’ex Segretario Cosea, portando come esempio l’episodio in cui i gendarmi durante una perquisizione gli trovarono in dosso un telefono cellulare che mons. Vallejo asseriva “di aver buttato”. Questo gli costò il ritorno in cella per inquinamento delle prove. Sgrò aggiunge che il monsignore diceva di avere nella propria camera da letto “una cassa dei prosciutti con dei dossier”, una sorta di “assicurazione sulla vita”. 

Documenti segreti
Sgrò asserisce che la sua assistita non ha mai inviato “documenti segreti” e che lo stesso Nuzzi conferma che lei fu solo un contatto. Anche Maio - prosegue - dichiarò che l’imputata non aveva sottratto alcunché. Ricorda che in Prefettura anche “altri avevano le chiavi per accedere, ma non sappiamo chi fossero”.

In Prefettura malanimo e pettegolezzi
Afferma che il “quadro emerso in Prefettura è terribile” e per questo dovrebbe avere un valore probatorio “ridotto”. Torna a citare i testimoni Fralleoni, Schiaffi, Pellegrino e Monaco ricorda che tutti in sostanza non avevano rapporti con Chaouqui pur esprimendo dei giudizi nei suoi confronti. Sgrò domanda perché “mons. Abbondi non sia stato rinviato a giudizio, essendo stato legato dalle testimonianze al sodalizio criminale”. Si chiede anche chi siano “il tedesco e lo svizzero” evocati dalla Pellegrino nella sua deposizione e perché secondo la ratio del processo non siano stati chiamati a giudizio. Aggiunge: “Si parlava male del gruppo Cosea solo per malanimo e pettegolezzi” in un contesto che lo stesso mons. Abbondi “definisce di caos”. Nell’estate 2015 - ribadisce per smontare ulteriormente la tesi accusatoria – il gruppo "è solo mons. Abbondi” e l’ex Segretario, poi sarà solo mons. Vallejo. 

Analisi apparati
L’avvocato contesta la deposizione di Gauzzi. Ribadisce che l’ingegnere nella perizia informatica si “è dimenticato del telefonino sequestrato alla Chaouqui”. Ribadisce che “da nessuna parte trova riscontro che l’imputata abbia cancellato il sistema di messaggistica WhatsApp come sostenuto” dall’analista della Gendarmeria. Che “non è stata fatta un’analisi dei dati integrale”, “i periti non hanno visto gli apparati” e “la verifica si è fatta solo su ciò che era già" negli atti. Sulla questione del server presso le guardie svizzere e la gestione della “nuvola Cosea” precisa che il marito dell’imputata non percepì alcun compenso per la sua attività e che per l’acquisto dell’hardware e box furono spesi 110mila euro presso una società terza.

Vatican Asset Management
Torna ancora sul Vam. Precisa che Nuzzi ha pubblicato il documento in formato PowerPoint, probabilmente lo stesso formato che il giornalista prese dalla casella email di mons. Vallejo, mentre Chaouqui dichiarò (durante il primo arresto) di averlo dato al cronista in formato Word. Questo documento - rimarca - era “comunque già stato ampiamente trattato da organi della Santa Sede” e il progetto bocciato dal Papa.

L’associazione criminale
Si rivolge al Promotore di giustizia che secondo Sgrò ha esteso a dismisura i tempi che individuano "l’associazione criminale”. Precisa che nell’estate 2015 mentre in Prefettura si compiva l’attività di “copiosa copiatura di documenti”, Chaouqui aveva già da tempo cessato il lavoro. Sul fatto che la sua assistita avesse presentato i due giornalisti all’ex Segretario dice: “non c’è prova di correità né di complicità” e ripete che lo stesso mons. Vallejo “non l’aveva informata dell’intenzione di divulgare i documenti”. 

La requisitoria
Per l’avvocato la requisitoria del Promotore di giustizia non è andata “oltre affermazioni generiche”, “non si è provato ma solo affermato un comportamento delinquenziale”. Contesta infine la richiesta dell’accusa di una pena maggiore per la sua assistita invece che per mons. Vallejo definito “motore primo” dei fatti delittuosi, “peraltro sacerdote”.








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