2016-07-04 17:44:00

Bangladesh: il premier rende omaggio alle vittime


Bangladesh. Il premier Sheik Hasina ha reso omaggio stamani alle vittime della strage al ristorante di Dacca, avvenuta venerdì scorso. Fra i venti ostaggi uccisi, 9 italiani. Hanno perso la vita anche 2 poliziotti oltre a 6 uomini del commando. E la Farnesina ha messo in allerta gli italiani nel paese perché non si escludono altri attentati. Il servizio di Debora Donnini:

E’ un giorno di lutto in Bangladesh. Il premier ha deposto una corona di fiori vicino ai feretri delle vittime coperti dalle bandiere di Italia, Giappone, India Usa e dello stesso Bangladesh. All’evento, nello stadio militare, erano presenti i familiari  e i rappresentanti dei Paesi di origine. Una preghiera per loro anche alla Messa nel seminario maggiore di Dacca. “Abbiamo paura ma affidiamo tutto nelle mani di Dio”, ha detto il nunzio apostolico nel Paese, mons. George Kocherry  in un’intervista a Tg 2000 mentre l’arcivescovo di Dacca, mons. Patrick D’Rozario, in contatto con altri leader compresi quelli della comunità islamica, sottolinea che “uccidere non è mai la soluzione”.  Proseguono, intanto, le indagini. I terroristi avrebbero ucciso gli ostaggi nei primi 20 minuti dalla loro irruzione. Stamani, poi, sono state arrestate due persone in relazione alla strage, ma non si sa chi siano. Fra i fermati figura anche Hasnat Karim, che qualche anno fa ha insegnato in un ateneo, la North South University di Dacca, dove hanno studiato gli autori della strage. Il professore si trovava all'Holey Artisan Bakery, venerdì sera, per festeggiare un compleanno ma è stato ripreso in alcune immagini a fumare in terrazza con i membri del commando. Gli inquirenti sospettano, poi, che vi fosse un basista interno, Saiful Choukidar, vissuto all’estero prima di fare il pizzaiolo nel locale. La sua foto è tra quelle dei cinque terroristi indicati dalla polizia come gli autori della strage, ma non nella  rivendicazione dello Stato islamico.  Forte, intanto, il dolore per i 9 italiani morti nell’attentato: le loro salme sono attese in Italia per domani sera o mercoledì mattina. E il pm Scavo potrebbe chiedere a breve alle autorità del Bangladesh di avere copia degli atti dell’inchiesta. Intanto il premier Renzi ha sentito il collega giapponese Abe, il cui Paese è stato colpito pesantemente dall’attentato con la perdita di 7 persone. 

 

Ma come vive la minoranza cristiana in Bangladesh la minaccia del fondamentalismo? Marco Guerra lo ha chiesto a padre Michele Branbilla, regionale del Pime raggiunto telefonicamente nella diocesi di Dinajpur, situata nel nord-ovest del Bangladesh:

  

R. – Tutta la comunità cristiana si è ritrovata a pregare. Ieri che era domenica, nel giorno del Signore, in tutte le Messe sono stati ricordate queste persone uccise da una mano nemica, terrorista. In particolare oggi verranno ricordati dal nunzio in Bangladesh, il quale presidierà una Messa nel pomeriggio alle 18:30 presso il Seminario internazionale di Banani a cui sono state invitate tutte le comunità cristiane e non, a ritrovarsi insieme per pregare per tutti.

D. – Si cerca di rispondere con l’unità anche con la comunità islamica, musulmana. Ma come vivono i cristiani questo grave attentato?

R. - Lo abbiamo preso con sgomento. Sappiamo che circa da un anno la situazione non è facile; le minoranze sono attaccate, anche voi conoscete benissimo i tanti omicidi che sono avvenuti, però una cosa così grande nessuno se l’aspettava. È avvenuta, bisogna lavorare anche con le forze dell’ordine che, devo dire, stanno facendo il loro dovere anche di protezione. Speriamo che questo governo lavori ancora più attivamente per debellare queste forme di fanatismo e fondamentalismo islamico.

D. -  Come è vissuta oggi la presenza missionaria in Bangladesh? La testimonianza di fede, le iniziative di carità …

R. - Si fa più attenzione alle cose che si fanno, ma non abbiamo diminuito il nostro lavoro specialmente nella zona a nord di Dacca; dopo l’attentato tutti gli stranieri, ma non solo escono scortati dalla polizia.  Non ci sono grandi comunità cristiane; c’è la presenza della polizia che tiene la situazione sotto controllo, che osserva se ci sono delle persone sospette. Il lavoro di evangelizzazione ma anche di promozione umana continua. Nessuno di noi si ferma e speriamo in un futuro migliore e di pace per questo Paese. Ne ha tanto bisogno.

D. - A cosa è dovuta questa escalation del radicalismo in Bangladesh? Abbiamo visto che gli attentatori erano figli di famiglie agiate …

R. - Sì, è vero. Questo ha sorpreso. Anche qui c’è molta informazione specialmente a Dacca, dove è come vivere in una città europea. La globalizzazione ha fatto sì che questo fanatismo entrasse tramite i media. D’altro canto anche qui vengono costruite ogni giorno nuove  madrasse, dove vengono formate persone che non percepiscono  il vero spirito del Corano ma prendono la parte peggiore. In queste madrasse vengono creati dei fondamentalisti.

D. - Tutta la popolazione deve rigettare questo fondamentalismo e trovare un’unità con le minoranze …

R. - Certamente. È una cosa molto importante, è un lavoro che si fa e comunque anche quelle piccole cose che vengono organizzare soprattutto a livello caritativo interconfessionali quindi con i musulmani, con i cristiani, con i buddisti a favore dei ragazzi handicappati, dei poveri continuano. Tutto questo è un segno della volontà di voler lavorare insieme per lo stesso popolo e nella pace e per la prosperità per questo Paese.

D. - I vescovi del Bangladesh hanno pubblicato oggi un messaggio di perdono e misericordia in cui si ribadisce un fermo “No” ad ogni violenza …

R. - Certo, forse perché qui la Chiesa è piccola ma unita. Mi trovo in Bangladesh da nove anni e posso dire che questa è una Chiesa che è aperta all’altro. Dunque c’è un’apertura, una voglia di dialogo per poter  vivere tutti insieme in questo Paese. La Chiesa anche se è una piccola comunità cerca sempre di lavorare insieme ad altre comunità come quella islamica e quella buddista. Come Chiesa non chiusi, siamo aperti e integrati; facciamo anche degli incontri di carattere religioso ed ecumenico e si cerca sempre di lavorare insieme per l’unità e per la pace di questo Paese.

D. - E questo lavoro continuerà nel futuro cercando anche di proteggere il proprio gregge…

R. - La speranza non viene mai a mancare sia da parte mia che delle altre persone: siamo qui uniti lavorando per il Signore che è padre di tutti. Quindi sono contento di questo documento dei vescovi che perdona ma allo stesso tempo richiama ai valori della giustizia e di fratellanza. Invito tutti coloro che non sono in Bangladesh ma che ci seguono anche da vicino con tanta stima e ammirazione a continuare a pregare per noi, per questo Paese perché pensiamo che attraverso la preghiera e attraverso le grazie che riceviamo dal Signore si potrà veramente costruire un Paese dove regnerà la pace e l’amore di Dio tra tutti.








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