2016-07-03 19:49:00

Strage a Dacca: terroristi sarebbero giovani del Bangladesh


Italia e Giappone piangono le vittime dell’assalto terroristico a Dacca. Nove le vittime italiane e 7 quelle giapponesi su un bilancio di 20 persone uccise nell'attentato al ristorante Holey Artesan Bakery di venerdì notte. Nella capitale del Bangladesh è già arrivato l'aereo della unità di crisi della Farnesina che dovrà riportare in Italia le salme degli italiani. Secondo il Site, il sito che monitora le attività dell’Is sul web, il leader di al Qaeda nel subcontinente indiano, incita i musulmani indiani a lanciare attacchi contro le autorità e la polizia del Paese. Intanto, emergono nuovi particolari sull’identità degli autori della strage. Elvira Ragosta:

Gli attentatori, secondo il ministro degli Interni bengalese Khan, erano tutti giovani, altamente istruiti e di famiglie benestanti “ dove diventare miliziani- aggiunge- è divenuta una moda”. Per il governo di Dacca si tratta di ventenni appartenenti al gruppo jihadista Jumatul Mujahedeen Bangladesh, dichiarato illegale nel Paese da oltre dieci anni, e non del sedicente Stato islamico. Il primo ministro bengalese Hasina ha indetto due giorni di lutto nazionale e domani presiederà, nell'Army Stadium  della capitale, a un omaggio alle 20 vittime.  Prevista a Dacca anche una messa funebre, celebrata dal Nunzio apostolico in Bangladesh, mons. George Kocherry, e concelebrata dall'arcivescovo di Dacca. mons. Patrick D'Rozario.

Intanto, il personale di Palazzo Chigi e dell’unità di crisi della Farnesina è giunto in Bangladesh per riportare in Italia le salme delle 9 vittime italiane. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi in un’intervista dice “L’Italia è una famiglia colpita dal dolore”, chiede che la discussione politica sia all’insegna dell’interesse di patria e ringrazia il presidente della repubblica Mattarella per aver interrotto il viaggio in America Latina per stare vicino alle famiglie delle vittime.

 

Il governo del Bangladesh parla, dunque, di un gruppo locale ed esclude infiltrazioni dell’Is, ma il Califfato ha già rivendicato l’azione. Sui reali collegamenti tra l’estremismo nel Paese asiatico e lo Stato Islamico Marco Guerra ha intervistato Francesca Manenti, responsabile del settore Asia del CeSi, Centro Studi Internazionali:

R. - I simboli, i luoghi di raccoglimento, di ritrovo dei cittadini stranieri diventano sempre più spesso oggetto di quello che poi vuole essere un rifiuto di un modello ed il tentativo di lanciare un messaggio di riconoscimento a livello internazionale.

D. - Il sedicente Stato islamico sta arretrando sul terreno in Siria ed in Iraq, però mostra una capacità d’azione o quanto meno di attrazione in altri Paesi  ancora molto forte se non ancora più forte …

R. -Sì, è necessario fare una distinzione tra quella che è la forza operativa dello Stato islamico sul terreno in Siria ed in Iraq, quindi la dimensione fisica dello Stato islamico che va avanti con ondate alterne, e il modello che lo Stato islamico e  la forza propagandistica  che questo continua ad avere verso tutta quella serie di panorami fondamentalisti e jihadisti in contesti diversi, anche geograficamente molto lontani,  che guardano allo Stato islamico come al nuovo grande attore del terrorismo internazionale in grado di dare da una parte legittimità, e quindi aumentare la capacità di reclutamento di questi gruppi all’interno del proprio territorio nazionale, e dall’altra anche la capacità di finanziarsi quindi di rendere disponibili una serie di mezzi, di uomini e di risorse che diversi gruppi sperano di poter carpire per poter rafforzare quella che è poi l’efficacia della propria agenda nazionale.

D. - Infatti abbiamo visto che il fondamentalismo cresce in tutti i Paesi a prevalenza musulmana. Anche quelli non coinvolti in guerre interne o in conflitti esterni con Paesi occidentali. C’è quindi da temere un’escalation?

R. - Il fondamentalismo sta trovando sempre maggior spazio in quei contesti in cui i governi centrali non sono in grado di dare una risposta unitaria alla popolazione e     quindi creano delle sacche di insoddisfazione che sfociano poi in movimenti di opposizione violenta. Questo accade in Paesi dove l’islam è la religione praticata dalla maggioranza della popolazione ma anche in altri contesti. Basti pensare ad esempio alle Filippine, dove le isole del sud, le regioni del Mindanao, che da sempre sono l’enclave di movimenti indipendentisti, stanno rafforzando, stanno cercando di avere una maggiore affiliazione con lo Stato islamico per riunirsi sotto uno stesso cappello e dare nuovamente lustro a quella che è la propria battaglia. Quindi sono dinamiche che poi si inseriscono in un contesto di lotta politica indipendentista nazionale.

D. - Quindi tutta la parte sud dell’Asia è coinvolta da questo fenomeno. Abbiamo visto che i ragazzi che hanno condotto questa azione sono stati ritratti con le bandiere dello Stato islamico …

R. - Sì, il Bangladesh in questo momento sta diventando il luogo di scontro tra le due grandi organizzazioni del terrorismo internazionale la vecchia guarda al Qaeda e, possiamo dire, le nuove leve dello Stato islamico. Ancora una volta là dove il governo centrale non riesce ad essere efficace e non riesce ad essere riconosciuto come autorità legittima in modo trasversale alla popolazione, è più facile che le frange fondamentaliste decidano di unirsi al jihad internazionale per avere una maggiore efficacia e anche una sorta di maggiore legittimità. L’asia meridionale e il sud-est asiatico sono sempre stati interessati da una simpatia verso il jihad internazionale; sono sempre stati presenti dei gruppi o degli ambienti che, prima con al Qaeda ed ora sempre più con lo Stato islamico, hanno cercato di inserirsi in questo discorso; pensiamo all’Indonesia e ancora una volta alle Filippine e ovviamente il contesto Afghanistan e Pakistan è noto a tutti. Al momento è difficile poter parlare di collegamenti diretti tra la leadership irachena del nuovo califfato e i gruppi locali. È una simpatia, però, che sta portando delle recrudescenze di violenze di matrice religiosa. Questo è indubbio.








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