2016-06-30 13:08:00

Iraq. Is perde terreno: a Falluja morti 250 jihadisti


In Iraq i raid aerei statunitensi hanno ucciso nelle ultime 24 ore circa 250 jihadisti del sedicente Stato Islamico. Colpito un convoglio che si muoveva fuori dalla città di Falluja. In tre anni, secondo fonti militari i terroristi hanno perso il 47% del territorio iracheno e il 20% in Siria. Alcuni analisti hanno messo in relazione l’attentato all’aeroporto di Instanbul, di martedì sera, con i raid in Iraq. In questo contesto, è allarme da parte dell’Unicef che denuncia come in Iraq oltre 3 milioni e mezzo di bambini sono in pericolo di morte. Infatti in un rapporto l’agenzia dell’Onu parla di rischio di morte, di essere feriti, di subire violenze sessuali, sequestri e reclutamenti in gruppi armati. Gioia Tagliente ne ha parlato con Andrea Margelletti, presidente Centro studi internazionali:

R. – La mia forte sensazione è che non vi sia alcuna correlazione tra i due eventi. Molto probabilmente la coalizione, tramite la propria intelligence, ha avuto sentore che lo Stato Islamico stesse preparando un’offensiva o comunque che si stesse organizzando con un largo numero di uomini e, ottenuta questa informazione, anche con il supporto delle forze speciali sul terreno, è partita la Campagna aerea. Le cellule operative lavorano a compartimenti stagni e quindi non credo che gli uomini che hanno operato a Istanbul sapessero di una possibile azione dei loro colleghi miliziani a Falluja e viceversa. Quindi credo che tra le due questioni non vi sia un 'fil rouge'.

D. – Secondo alcuni osservatori, lo Stato Islamico ha meno confini, contestualmente però aumentano gli attacchi terroristici in Europa. Questa può essere una strategia o una mera reazione perché stanno perdendo terreno e consensi?

R. – Credo che sia una strategia. E’ vero che l’Is – ricordiamo che la guerra contro lo Stato Islamico è iniziata anni fa - sta perdendo, almeno in Iraq, del terreno; ma è anche vero che noi pur vincendo le battaglie, non stiamo vincendo la guerra: le cause per le quali l’Is è nato fino adesso sono state – tra virgolette – intoccate. Poi esiste una conseguenza – ed è una strategia - che è quella di far rendere conto agli occidentali, e in particolare agli europei, che l’Is è in grado di portare la morte di Falluja nelle strade delle città europee. E una di queste conseguenze è il fatto che, ritirandosi da alcuni territori, diverse centinaia e in alcuni casi migliaia di miliziani possono tornare nel loro Paese di origine e quindi in moltissimi casi anche in Europa.

D. – Come dice l’inviato speciale americano per la coalizione, dopo due anni i terroristi hanno perso il 47%del territorio in Iraq e il 20% in Siria. Quale può essere – secondo lei – uno scenario futuro?

R. – A me appassionano poco le statistiche o le percentuali… Io credo che, per sconfiggere l’attuale Is e le realtà che potrebbero venire dopo, occorra un’azione politica forte e comune. Cosa, questa, che è lontanissima dal verificarsi. Noi combattiamo l’Is esclusivamente dal punto di vista militare, ma basti ricordare che su tutti i grandi temi fondanti della politica estera – ad esempio in Medio Oriente e in Nord Africa – il mondo occidentale è assolutamente disunito. E questo ci rende totalmente scoordinati e certamente meno forti.

D. – Quindi abbiamo una sorta di vulnerabilità?

R. – Noi abbiamo una grandissima vulnerabilità! Basti pensare che di fronte a temi così importanti e così rilevanti, che toccano la vita di tutti noi, dall’immigrazione all’integrazione, alla sicurezza, al terrorismo, alle operazioni fuori area, che sono temi comuni di tutti noi - e soprattutto per gli europei che quotidianamente si devono confrontare con questa realtà - la risposta europea invece che essere una risposta forte e comune è un dividiamoci, un allontaniamoci e cerchiamo di tornare al bel mondo antico. Questo è un disastro di grandi proporzioni!








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