2016-06-29 19:22:00

Attentato ad Istanbul: almeno 41 le vittime. Si segue la pista jihadista


In Turchia è di almeno 41 morti il bilancio della strage di ieri sera all'aeroporto Ataturk di Istanbul. I feriti sono oltre 230. Per il premier turco Yildirim l’attacco, non ancora rivendicato, è stato compiuto da miliziani del sedicente Stato islamico. Fonti di stampa hanno reso noto che l'intelligence turca aveva avvisato, una ventina di giorni fa, del rischio di un attacco ad Istanbul. E tra i possibili obiettivi era stato inserito l'aeroporto. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

La nuova strage ad Istanbul, nei primi minuti dopo l’attacco annunciata dalle sirene delle ambulanze, è documentata dalle agghiaccianti immagini delle videocamere di sicurezza dell’aeroporto. I frammenti più drammatici sono quelli che mostrano uno dei kamikaze mentre si fa esplodere dopo essere stato ferito da un poliziotto. In un altro video un terrorista spara sulla folla. In altri filmati si sente e si vede, impressa su volti sconvolti, la disperazione delle persone che cercano di fuggire. Gli inquirenti stanno cercando di ricomporre questo tragico mosaico. In base alle prime ricostruzioni, avrebbero fatto parte del commando sette persone. Tre di loro si sono fatte saltare in aria. Altri tre terroristi sarebbero in fuga. Una donna, sospettata di aver partecipato all’attacco, è stata arrestata. L’identità dei tre kamikaze, arrivati in aeroporto in taxi, non è ancora stata resa nota, ma secondo fonti delle indagini, si tratterebbe di cittadini stranieri. Il presidente americano Barack Obama, poche ore dopo l’attentato, ha dichiarato che il sedicente Stato islamico sarà sconfitto sia in Siria sia in Iraq. Gli Stati Uniti – ha detto - faranno tutto il necessario per prevenire attacchi.

Sull'attentato ad Istanbul, il commento di mons. Paolo Bizzeti, vicario apostolico di Anatolia, intervistato da Francesca Sabatinelli:

R. – Questo attentato si inserisce in una serie di attentati che hanno colpito la Turchia e anche l’Europa in diverse città di primo piano. Dunque, c’è certamente una strategia di destabilizzazione, c’è certamente una volontà di imporsi all’attenzione da parte di queste organizzazioni terroristiche. Il problema di fondo – a mio parere – è molto grave e si può affrontare soltanto se si vincono queste spinte alla divisione, alla contrapposizione. Dobbiamo controbattere alle voci che insegnano l’odio verso gli altri, da qualunque parte esse vengano.

D. – Perché la Turchia?

R. – La Turchia è un crocevia, è una nazione che è stata anche molto ospitale, che ha accolto molti rifugiati. La Turchia è un luogo in cui ci sono tante presenze, la Turchia sicuramente si trova coinvolta nelle vicende del Medio Oriente, essendo in prima linea, essendo a contatto stretto. Poi, certamente, ci sono anche delle divisioni all’interno…

D. –  Lei in questo momento si trova molto distante dal luogo dell’attentato, è ovvio però che le ripercussioni siano in tutto il Paese. Cosa capta in questo momento, all’indomani di una strage di questo tipo?

R. – Certamente, il dolore e lo smarrimento delle persone è generalizzato. Dobbiamo stringerci ancora di più, con affetto, a questa nazione. La gente è smarrita, perché fino a ieri la Turchia è stato un Paese tranquillo e ormai da molti anni… Io credo, però, che le reazioni delle persone non siano diverse da quelle che si respirano a Bruxelles, a Parigi. Ovunque la gente è smarrita, perché vede innalzarsi di nuovo muri, vede di nuovo contrapposizioni, ascolta le parole di queste persone che predicano la divisione, l’odio e la contrapposizione. Allora, dobbiamo capire che le vie della pace passano, prima di tutto, attraverso le parole quotidiane che vengono diffuse: se vogliamo entrare in un reale processo di pace, dobbiamo mettere in un cantone tutti coloro che predicano l’intolleranza, che predicano la mancanza id rispetto degli altri. La gente normale, anche in questo Paese, è convinta che la pace sia possibile. Tuttavia, purtroppo, molti sono i fattori che si sono accumulati in questi anni e che hanno portato a questa situazione, che adesso è un po’ fuori controllo. D’altra parte, non ci si può aspettare, facendo la guerra in alcuni Paesi del Medio Oriente, che poi non ci siano delle conseguenze. E io penso che tutti siamo coinvolti, in vario modo e a vario titolo, nelle guerre che hanno insanguinato il Medio Oriente negli ultimi anni.

D. – Al di là del gravissimo costo umano che queste azioni hanno, ci sono delle forti ripercussioni economiche per un Paese che ha sempre fatto del turismo una importantissima voce del suo bilancio. Stiamo vedendo, in queste ore, che la Turchia sta cercando di tornare rapidamente alla normalità. Lo stesso governo non intende divulgare troppo le drammatiche immagini e ha messo quasi un fermo alle notizie che possono circolare. Perché, secondo lei, questa strategia del governo?

R. – Io credo che le ripercussioni sul turismo, ormai da un anno, un anno e mezzo, siano molto gravi – lo vediamo anche noi riguardo ai pellegrinaggi dei cristiani, che praticamente sono scomparsi. Tuttavia, questa propaganda della paura, questo terrorismo mediatico, fa il gioco dei terroristi. Per cui, io ritengo che effettivamente dobbiamo rispondere al terrorismo continuando a vivere la nostra vita quotidiana con serietà, con impegno, perché queste persone cercano una grande pubblicità per poter esercitare la loro attrattiva. Noi dobbiamo, invece, spingerli in un angolo e far capire che sono persone che non esprimono la volontà della gente, la volontà dei popoli. Per cui, ritengo opportuno che si distingua tra le notizie e quel ricamare sulle notizie che diffonde la paura. Con la paura non si vince il terrorismo!








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