2016-06-27 11:17:00

Spagna: vince il Pp ma non può governare da solo


In Spagna, lo schieramento popolare del premier, Mariano Rajoy, è il primo partito ma non può governare da solo. Seguono i socialisti e la formazione di estrema sinistra "Podemos". Frena il partito di centro destra "Ciudadanos". E’ questo l’esito delle elezioni tenutesi ieri nel Paese contrassegnate da un verdetto delle urne che stravolge i sondaggi della vigilia. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

Non c’è stato il sorpasso di "Podemos", come pronosticato da diversi sondaggi. Il movimento euroscettico, alleato con la formazione di estrema sinistra "Izquierda unida", resta la terza forza politica del Paese. Il vincitore delle elezioni è il partito popolare che conquista 137 seggi su 350. Ma nonostante l’incremento di consensi, rispetto alle elezioni di dicembre, si tratta di una affermazione parziale. La formazione guidata dal premier Rajoy non ha infatti i numeri per governare da sola. L’unica alleanza possibile per formare un governo, ma difficilmente realizzabile, è quella con il partito socialista, seconda forza del Paese. Perde terreno anche la formazione di centrodestra "Ciudadanos". Dopo le elezioni, segnate da una bassa affluenza - inferiore al 70% - si apre ora in Spagna la complessa fase delle trattative. Il premier Rajoiy, che rivendica il diritto di governare, ha affermato che nessuno sarà escluso dai negoziati.
 
La fotografia di queste elezioni in Spagna è più o meno la stessa, ingiallita, di quelle di sei mesi fa. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il ricercatore per l’area Europa dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), Matteo Villa:

R. – E' abbastanza simile. È chiaro che cambia qualcosa dal punto di vista dei punti percentuali: c’è chi vince di più e si riconferma, c’è chi perde, però è chiaro che un governo con questo tipo di configurazione rimane un grosso problema per la Spagna.

D. – Il Partito popolare vince dunque le elezioni, ma in Spagna resta il rebus della governabilità: nessuno ha i numeri per formare un governo da solo…

R. – Questo forse è il secondo punto centrale. Il primo è ciò che è cambiato rispetto a quello che ci attendevamo: un’affermazione di Podemos e Sinistra Unita come il primo partito delle sinistre. Ciò non è accaduto, sebbene di pochi punti percentuali, anche se alla vigilia si pensava che sarebbe successo. Questo ci fa pensare che a questo punto un governo sia quasi necessario e l’unico che esce dalle urne come il più probabile è una grande coalizione tra il Partito popolare e quello socialista.

D. – Quanto ha inciso sul voto la vicenda “Brexit”?

R. – Credo poco, nel senso che siamo veramente di fronte a uno scenario elettorale molto simile a quanto accaduto prima. Credo che forse quello che è stato penalizzante per Podemos e Izquierda Unida sia stato, più che altro, il confronto con la Grecia. In campagna elettorale si è continuato ad agitare lo spettro di Syriza, che vincendo le elezioni in Grecia ha gettato il Paese nell’ingovernabilità. C’era chi aveva molto timore di questo risultato. E dall’altra parte c’è una grossa differenza demografica: i giovani votano verso sinistra o i partiti alternativi e anti-sistema, mentre gli anziani continuano a guardare al Partito popolare o ai Socialisti.

D. – Il Partito socialista è la seconda forza politica del Paese: è possibile questa volta la strada, l’unica che può assicurare un governo, di un’alleanza con il Partito popolare?

R. – Penso di sì, anche se c’è un problema. Il Partito popolare ha preso il 4% in più rispetto alle elezioni di dicembre. Questo complica il quadro, perché il Partito socialista aveva detto: “Noi non entreremo in una grande coalizione in cui c’è Mariano Rajoy, il primo ministro del Partito popolare. Noi vogliamo che si dimetta”. È chiaro che se il primo partito si afferma e prende il 4% in più, Rajoy potrebbe fare molte più resistenze. Quindi, questo complica ulteriormente lo scenario. Penso che, comunque, quella di una coalizione sia l’unica alternativa possibile al momento.

D. – E in questo scenario arretra il partito di centrodestra, Ciudadanos, che perdi molti consensi rispetto alla tornata elettorale scorsa…

R. – Un altro partito che non riesce ad affermarsi. Di fatto però, ormai, dal bipartitismo classico spagnolo,siamo passati a una sorta di quadripartitismo, in cui i due partiti anti-sistema insieme prendono un terzo dei voti. Anche se non si affermano, questo rende il Paese difficilmente governabile.

D. – Queste elezioni sono state segnate anche dal crollo dell’affluenza alle urne: una delle più basse nella storia della Spagna post-franchista…

R. – Questo forse ce l’aspettavamo. È un trend che comunque è normale per tutte le democrazie occidentali. Però, soprattutto in un momento in cui i partiti non cambiano e, da dicembre ad oggi non è cambiato praticamente nulla, ci attendevamo che i risultati fossero simili. Le persone o votano per partiti anti-establishment oppure, disilluse, non vanno a votare.

D. – A questo punto, non è escluso il ritorno al voto?

R. – Non è escluso. Spero sia un’alternativa abbastanza remota, perché la Spagna in questo momento è senza un governo da quasi otto mesi. Il rischio è che “Brexit” possa complicare le cose dal punto di vista della stabilità finanziaria dei Paesi periferici. Abbiamo visto gli spread tra Btp e Bund che schizzavano in alto. La stessa cosa è successa con gli spread tra Bonos – ossia i titoli del debito pubblico spagnolo – e quelli tedeschi.

D. – Come leggere questo voto in chiave europea? Questa incertezza porterà nuovi scossoni nell’Unione Europea?

R. – L’aspetto importante forse riguarda i tre Paesi che ancora devono avere appuntamenti elettorali e che li avranno da qui a un anno: Italia, con il referendum costituzionale, la Germania e la Francia, che l’anno prossimo andranno entrambe alle urne. E sarà quella probabilmente la chiave che forse rallenterà i negoziati e ci complicherà le cose.








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