2016-06-25 14:30:00

Si torna a votare in Spagna ma c'è il rischio di un nuovo stallo


La Spagna ritorna al voto questa domenica, dopo il fallimento delle elezioni del 20 dicembre in cui i principali partiti politici non sono giunti a un accordo per la formazione del governo. Secondo gli ultimi sondaggi, il Partito popolare del premier uscente Mariano Rajoy sarebbe la prima forza politica con il 29% dei consensi, seguita da Unidos Podemos, che mette insieme Izquierda Unida (la sinistra radicale) con Podemos di Pablo Iglesias con il 25%. Seguono i socialisti (Psoe) di Pedro Sanchez (21%) e Ciudadanos di Albert Rivera (15%). Tuttavia, questi risultati rischiano di non essere decisivi per la nascita di una maggioranza parlamentare. Ma come la Spagna si sta preparando a questo nuovo appuntamento elettorale? Riisponde Alfonso Botti, storico e ispanista, al microfono di Valentina Onori:

R. – Si sta preparando con la certezza che dalla nuova competizione elettorale non uscirà un panorama sostanzialmente diverso per quanto riguarda la governabilità. Tutti i sondaggi sono convergenti nel dire che nessuna delle quattro forze politiche principali raggiungerà la maggioranza dei voti necessari per governare. La questione più interessante di questa competizione elettorale è il possibile sorpasso da parte della coalizione tra “Podemos” e “Izquierda Unida” del Partito Socialista spagnolo.

D. – C’è anche una frattura generazionale tra i giovani che votano “Podemos” e gli ultraquarantenni che votano Rajoy e il Psoe...

R. – Ma con una variante: che “Ciudadanos”, che è una forza politica anch’essa nuova come “Podemos” e che crea una forza politica centrista, raccoglie grossi consensi anche nelle fasce giovanili. La questione del Partito Popolare è che tutti i sondaggi lo danno come prima forza politica: ma la questione è che il 20 dicembre il Partito Popolare aveva perso 3 milioni e mezzo di voti; ne aveva presi più degli altri, ma segnando un forte calo di consensi. Se dovesse riprodursi una situazione del genere nelle elezioni del 26 giugno, io credo che la leadership di Rajoy sarebbe messa in discussione all’interno del Partito Popolare, così come nel Partito Socialista, se si verificasse il sorpasso da parte di “Podemos” e “Izquierda Unida”, la leadership di Pedro Sanchez sarebbe anch’essa messa in discussione. Un ricorso per la terza volta alle urne sarebbe veramente preoccupante.

D. – Che tipo di campagna elettorale è stata quest’ultima?

R. – E’ stata una campagna elettorale di “ognuno contro tutti”, in cui si sono riproposte le pregiudiziali della campagna elettorale precedente. Semmai, con la variante più accentuata della proposta di “Podemos” di far coalizione con il Partito socialista, il quale ha però respinto al mittente l’offerta. E’ una campagna elettorale che – a mio modo di vedere – ha confermato il dato che io penso sia caratterizzante della situazione spagnola: la mancanza cioè della cultura della mediazione fra le forze politiche.

D. – Alla luce di quanto è avvenuto in Inghilterra, questo potrebbe travolgere anche le elezioni in Spagna?

R. – Assolutamente no. Quello che è successo in Inghilterra ci fa vedere la differenza del quadro politico spagnolo, nel quale sono in competizione quattro forze politiche, tutte e quattro fermamente europeiste, anche se alcune più critiche degli assetti attuali dell’Unione Europea: quando parlo di queste forze critiche, mi riferisco senz’altro a “Podemos” e “Izquierda Unida”. La Spagna ha due specificità da questo punto di vista: la prima, che in Spagna non ci sono stati movimenti xenofobi e il secondo dato caratterizzante per la situazione spagnola è che tutte le forze politiche, anche quelle nazionaliste basche e catalane, sono europeiste. E questo perché la Spagna ha beneficiato economicamente e culturalmente del processo di integrazione europea. Vero è che negli ultimi anni c’è stata una disaffezione come in realtà c’è stata ovunque: l’Europa così non piace, non piace a molti e non piace neanche agli spagnoli. Ma questo non significa mettere in discussione il progetto europeo. In Spagna, non c’è nessuno che abbia seguìto e che mette in discussione l’integrazione europea.

D. – Dopo la vittoria del Brexit, il ministro degli Esteri spagnolo ha proposto una sovranità condivisa tra Londra e Madrid su Gibilterra, con – in prospettiva – il ritorno del territorio alla Spagna…

R. – E’ una rivendicazione storica da parte della Spagna che, per ragioni evidenti geografiche, ritorna fuori in questo momento. In Spagna si può aver pensato che gli inglesi, non facendo più parte dell’Unione Europea, siano indeboliti e che la Spagna invece possa puntare sul sostegno dell’Unione Europea in questa rivendicazione, che, ripeto, è storica. Qualcosa si è mossa: cambia la situazione europea e quindi cambia la situazione della Gran Bretagna rispetto all’Europa e questo può sollecitare la Spagna a ritornare su questa “vexata quaestio”. Però, da qui al fatto che si risolva in modo favorevole alla Spagna, diciamo che ce ne passa.








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