2016-06-20 07:53:00

Onu: 65 milioni di persone costrette a lasciare la casa


Oltre 65 milioni di persone in tutto il mondo sono state costrette ad abbandonare le loro case, si tratta di un livello senza precedenti": e' il nuovo allarme lanciato dal segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, in occasione dell'odierna Giornata mondiale del rifugiato. E proprio nelle ultime ore si è appreso dell’ennesima strage al confine tra Turchia e Siria. Valentina Onori:

Un massacro definito dall’Unicef “insopportabile” quello che si è verificato ieri lungo il confine turco-siriano proprio alla vigilia della Giornata Mondiale del Rifugiato. 8 profughi siriani tra cui 4 bambini, sono stati uccisi dall'esercito turco mentre cercavano di attraversare la frontiera. “Chiunque spara a dei bambini che tentano di fuggire dal terrore e' un criminale, come criminale e' anche chi li costringe alla fuga dal loro Paese” ha detto Andrea Iacomini, portavoce dell'Unicef Italia. La Coalizione nazionale siriana, organo di opposizione al presidente Assad, ha formalmente chiesto al ministero della Difesa turco l'apertura di un'indagine. Negli ultimi mesi Ankara ha rafforzato la sicurezza lungo i confini per evitare gli ingressi e ha sempre negato di aver sparato ai profughi siriani che attraversano il confine, ma secondo l'Osservatorio per i diritti umani siriano dall’inizio dell’anno, circa 60 civili sono stati uccisi mentre cercavano di fuggire. Sul fronte interno prosegue l’avanzata delle truppe di Damasco verso Raqqa, roccaforte dell’Is e continuano gli attentati. Almeno 23 miliziani del sedicente Stato islamico sono stati uccisi nel nord della Siria dalle truppe della coalizione internazionale. Ieri un kamikaze si è fatto esplodere al passaggio del Patriarca siro-ortodosso, riuscito a sfuggire all’esplosione, causando la morte di 3 persone. Quello dei profughi rimane, però, uno dei nodi più urgenti da affrontare, conseguenza di un conflitto che si protrae in Siria da anni. Secondo l’Onu a causa della guerra sono più di 2 milioni i civili fuggiti in Turchia.

Molte le iniziative organizzate in tutto il mondo per sensibilizzare su una crisi umanitaria mondiale. Abbiamo intervistato Christopher Hein portavoce del Consiglio italiano per i rifugiati sull’importanza di questa ricorrenza:

R. – Quest’anno è certamente una Giornata dei Rifugiati abbastanza particolare. Meno che negli anni precedenti, quest’anno c’è qualcosa da celebrare. Si inserisce in una crisi di rifugiati senza precedenti che colpisce tutta l’Europa. Il quadro delle vittime del primo semestre – che ancora non è finito – registra circa tremila morti nel Mediterraneo. Si tratta di persone che dal Nord Africa o dal Medio Oriente hanno cercato disperatamente di arrivare prima di tutto in Italia, ma  poi anche in Grecia o sulle isole greche. Io piuttosto la chiamerei una “Giornata contro l’indifferenza”. La cosa tragica è che può accadere di nuovo oggi, domani, dopodomani. Non ci sono politiche in grado di ridurre questo fenomeno della tragedia del Mediterraneo. Noi come Consiglio Italiano per i Rifugiati vogliamo insistere sul miglioramento della situazione cominciando proprio dal sistema di accoglienza, alla qualità in modo particolare che è sotto l’attenzione pubblica e al drammatico arrivo, al salvataggio in mare perché si dimentica facilmente che le persone poi rimangono: investire oggi sulle famiglie dei rifugiati, domani porterà frutti soprattutto per la persona, ma anche per la società. Dobbiamo uscire da questa ottica dell’emergenza permanente.

D. - È un esodo senza precedenti: attraverso quale politica nei confronti dei migranti passa il futuro dell’Europa?

R. – Di aprire canali umanitari per non rischiare la vita nel mare o non dovere pagare i trafficanti per aprire delle possibilità realistiche. La seconda considerazione naturalmente è che ci deve essere una risposta solidale e unitaria dell’Unione Europea. Non è pensabile di ritirarsi all’interno dei propri confini; questo non porta a nessun risultato.

D. - Perché è una giornata che riguarda tutti?

R. – Perché è richiesto a tutti di trovare risposte. In questi mesi abbiamo visto un’enorme mobilitazione della società civile in molti Paesi europei, anche in Paesi politicamente chiusi come l’Ungheria e l’Austria.

D. – “Siamo sempre lo straniero di qualcun altro”, dice Tahar Ben Jelloun. È così?

R. - Nel senso più profondo siamo stranieri. Io direi che la possibilità di svolgere la nostra vita in questa Terra ci è stata “prestata”; mi sembra questa sia la parola più giusta. Non possiamo considerare la Terra come nostra proprietà. Questo poi ha conseguenze nell’ecologia e in tanti altri aspetti; ha anche un impatto sulla coscienza e sulla consapevolezza: noi dobbiamo accogliere gli stranieri che vengono da noi.

D. - Ci mette di fronte alle nostre paure e a tutta una serie di problematiche che prima non consideravamo ...

R. - Non dobbiamo vedere solamente questo settore come diritto di asilo, diritto di accoglienza. Dobbiamo considerare che siamo anche di fronte ad una composizione diversa della popolazione in Italia come in altri Paesi europei. A chi apparteniamo? A una nazione? A un club di calcio? O apparteniamo ad un insieme molto più grande, molto più vasto capace di arricchirci? Quando si parla della globalizzazione sappiamo che c’è soprattutto un interesse economico. Non ci può essere una globalizzazione economica senza una globalizzaizone nel senso più ampio della convivenza pacifica e solidale tra i vari popoli della Terra.








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