Esprimere solidarietà al Burundi in tempi difficili: questo lo scopo della visita compiuta nel Paese da una delegazione del Secam (Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar), dal 9 al 12 giugno. Il Burundi, infatti, è attraversato da una grave crisi iniziata a maggio 2015, con le proteste della popolazione contro la rielezione, per la terza volta consecutiva, del presidente Nkurunziza. Diverse centinaia di burundesi sono stati uccisi, migliaia sono sfollati, e l’economia è al tracollo, mentre l’Onu parla di “rischio genocidio”.
Sussidiarietà e collaborazione
Al termine della visita, il Secam ha diffuso un messaggio in cui si ribadisce l’importanza,
tra le Chiese africane, del “principio di sussidiarietà”. “Siamo tutti uniti come
cristiani e come africani – scrivono i vescovi, esprimendo vicinanza, nella preghiera,
ai familiari delle vittime - Qualunque cosa destabilizzi il Burundi, destabilizza
anche l’Africa”. Auspicando, quindi, “pace e stabilità politica, sociale ed economica”
per Bujumbura, il Secam invita tutti i vescovi africani alla collaborazione in favore
della riconciliazione, perché “la pace sarà a beneficio del Paese, ma anche di tutto
il continente”.
No alla violenza, agire in solidarietà e preghiera
Al contempo, il Simposio episcopale si dice “consapevole delle sofferenze” patite
dal Burundi ed esprime apprezzamento per quanti si sono adoperati e si adoperano tuttora
per la pace, “optando per un atteggiamento non violento”: si tratta di un approccio
del quale “la Chiesa in Africa è orgogliosa”, perché rappresenta “la sua ricca eredità”,
ovvero “la tradizione di impegnarsi in azioni non-violente, a prescindere dal successo
o dal fallimento”. “Dopo un conflitto o una fase di instabilità – continua il messaggio
– la popolazione ha bisogno di essere guarita e riconciliata. Gli sforzi per la pace,
quindi, vanno esercitati nella solidarietà e nella preghiera con i fratelli e le sorelle”.
Non dimenticare i profughi!
Dal suo canto, il Secam promette di “fare di più e stare di più al fianco” del Burundi,
così da “rafforzare la costruzione della pace nel Paese”. Di qui, l’appello al governo
locale affinché garantisca la partecipazione inclusiva dei cittadini nel processo
di riconciliazione ed affronti le eventuali rimostranze in modo pacifico. Forte, inoltre,
il richiamo a non dimenticare “l’umiliazione delle persone che vivono nei campi profughi”:
“Vi invitiamo – chiedono i vescovi ai governanti – a trovare il modo di riportare
queste persone a casa, affinché possano vivere in modo dignitoso”.
Cristiani si impegnino per la pace
A vescovi, sacerdoti e cristiani tutti del Burundi, il Secam chiede, invece, “la responsabilità
di compiere il primo passo” del processo di pace, perché “solo un vero impegno che
coinvolge tutta la Chiesa può rendere positivo questo percorso”, sempre nell’ottica
della non-violenza e della piena collaborazione tra fedeli e pastori. Anche la comunità
internazionale, attraverso l’Unione Africana, viene chiamata in causa, affinché “sostenga
il dialogo per la riconciliazione del popolo del Burundi, consentendogli di impegnarsi
in iniziative di sviluppo e nel progresso della nazione”.
No al commercio delle armi. Fermare lo spargimento di sangue
Al contempo, il Secam “condanna quelle influenze negative esterne che interferiscono
non solo con il Burundi, ma anche con gli altri Paesi della regione e dell’Africa”.
“Diciamo no al commercio delle armi che viene utilizzato per provocare violenze nel
continente – esortano i vescovi – Chiediamo l’intervento dell’Unione Africana, dell’Unione
Europea e delle Nazioni Unite per frenare la proliferazione delle armi leggere e domandiamo
ad nostri fratelli africani di far tacere il clamore delle guerre e di fermare lo
spargimento di sangue nel continente”. Il messaggio del Secam si conclude con l’invito
alla preghiera comune per la pace in Burundi, perché “tutti siamo uno in Cristo”.
(I.P.)
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