2016-06-20 11:25:00

Brexit. Ue si interroga su possibili rischi politico-economici


Tra tre giorni i cittadini britannici saranno chiamati a votare il referendum Brexit, dove dovranno decidere se restare o uscire dall’UE. Questa scelta potrebbe cambiare le sorti economiche e politiche non solo della Gran Bretagna ma anche di altri Paesi dell’UE. "L'Unione Europea ha perso la sua anima, quell'anima che i padri fondatori le avevano infuso". E' quanto ha dichiarato l'economista Stefano Zamagni intervistato da Gioia Tagliente:

R. – Che l’Inghilterra abbia delle valide ragioni per lamentarsi dell’Unione Europea e del modo con cui, soprattutto negli ultimi anni, i grossi problemi dell’Europa sono stati affrontati, è fuor di dubbio. Questa, però, non è una ragione sufficiente per giustificare l’eventuale fuoriuscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea, anche se è vero che, l’Unione Europea, ha perso la sua anima, quell’anima che all’inizio i padri fondatori, le avevano infuso.

D. – Se la Gran Bretagna uscisse dall’Unione Europea, quali sarebbero i rischi concreti?

R. – Sarebbe veramente triste, anche pericoloso, per tre ragioni: primo, perché l’Inghilterra, di cui conosciamo le ragioni filosofiche, culturali e così via, rappresenta sempre una sorta di vigile urbano nei confronti degli altri Paesi per evitare derive burocratiche; secondo, perché l’impatto a breve termine sulla stabilità finanziaria sarebbe veramente pericoloso e per Paesi già in difficoltà come il nostro, la Spagna, il Portogallo o altri minori potrebbe essere esiziale; in terzo luogo, perché comunque l’uscita dell’Inghilterra creerebbe una forza terzista che non faciliterebbe il dialogo, ad esempio, tra l’Europa e gli Stati Uniti. Gli uni e gli altri stanno negoziando il cosiddetto “Trattato”, il nuovo trattato di commercio tra l’Europa e gli Stati Uniti. Se l’Inghilterra si chiama fuori dall’Unione Europea, tenuto conto della storia, del legame che unisce la Gran Bretagna agli Stati Uniti, capiamo subito le implicazioni. Siccome questo è qualcosa di molto serio, che riguarda non solo e non tanto il lato finanziario, ma soprattutto il lato reale dell’economia - perché stiamo parlando di import-export di beni e servizi - ecco perché l’uscita della Gran Bretagna, sarebbe foriera di rischi piuttosto seri, anche sul fronte dell’occupazione.

D. – Se vincesse il “no”, ci potrebbe essere un nuovo slancio della Gran Bretagna  in borsa? Aumenterà, quindi, il suo peso economico e politico?

R. – Aumenterà sicuramente la sua pressione nei confronti di Bruxelles, per evitare derive tecnocratiche, economicistiche e così via;  dall’altro, sicuramente rafforzerà la sua capacità di attrazione dei capitali; e, terzo, è ovvio che la vittoria dei “no” potrebbe consentire alla Gran Bretagna di ottenere ulteriori alleggerimenti sul fronte dei rapporti con l’Unione Europea e potrebbe essere che questo senso, a volte, di malessere che altri Paesi, diversi dalla Gran Bretagna, manifestano nei confronti di Bruxelles, possa aprire la strada ad una rivisitazione completa dei trattati europei - a cominciare da quello di Maastricht - che non vanno bene. Sono trattati, infatti, dai quali non emerge quella che – come ho detto all’inizio – è la missione dell’Europa nel mondo, la cosiddetta sua anima. Bisogna allora ripartire dai fondamentali e questi fondamentali non possono tralasciare quelle che sono le radici, le componenti etico-culturali, che hanno fatto grande questo continente. All’epoca dei Trattati di Maastricht tutto il grosso dibattito sulle cosiddette radici giudaico-cristiane venne completamente ignorato. Giovanni Paolo II si batté come un leone per cercare di portare a più miti consigli. La risposta è stata un “no” secco. Ora stiamo pagando le conseguenze di quella negazione. In nome di un falso concetto di laicità, non si è voluto tenere conto che una unione come quella di tanti Paesi europei può avvenire solo sulla base di un sostrato robusto di principi e di valori.








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