2016-06-18 14:00:00

Le truppe irachene riconquistano Falluja e si preparano ad attaccare Mosul


Le truppe governative irachene hanno ripreso il controllo del centro della città di Falluja, strappandola al sedicente Stato Islamico che la occupava da due anni e mezzo. Si combatte tuttavia ancora in diversi quartieri e si teme per la sorte di 50.000 persone all'interno dell'abitato e dei circa 40.000 sfollati. Intanto il ministro della  Difesa iracheno, Khaled al-Obeidi, ha rilanciato l’offensiva per liberare Mosul, seconda città più grande del Paese, dai miliziani dell’Is. Secondo l’esponente del governo, all'alba le forze irachene hanno iniziato la seconda fase dell'offensiva che mira a liberare tutta la provincia di Niniveh. Si segnala infine l’esplosione  di un’autobomba nella città di Khurmatu, costata la vita a due persone. Per un commento sulla reale situazione sul terreno, Marco Guerra ha intervistato l’analista di politica strategica Alessandro Politi:

R. – Innanzitutto tutta Falluja ancora non è stata presa. Ormai si è diffusa l’idea dell’effetto annuncio: ancora, però, il 20% è in mano allo Stato Islamico… Come sempre, quindi, riprendere una città è molto difficile, complesso, doloroso e costoso. Senz’altro lo Stato Islamico – per fortuna! – sta cominciando a perdere posizioni: sta perdendo centri urbani e questo significa che perde anche il controllo sulle popolazioni delle zone che aveva occupato. E questo da un punto di vista politico, ma anche del morale delle truppe jihadiste, è importante. D’altro canto bisogna chiarirsi bene le idee tra coalizzati su quale futuro politico si vuole poi dare ai due Paesi che emergono da questa sanguinosissima guerra civile. E qui credo che ancora ci siano molte divisioni, spesso dettate da interessi di brevissimo periodo.

D. – A tal proposito Falluja è sempre stata una città a maggioranza sunnita, quindi ostile a Baghdad. Per pacificare l’Iraq quali errori non bisogna ripetere?

R. – Innanzitutto non bisogna ripetere l’errore di amplificare delle situazioni, come se la guerra fosse sunniti contro sciiti: in realtà lo Stato Islamico fa guerra tantissimo ai sunniti. Bisogna evitare delle narrative troppo semplificate, perché altrimenti si favorisce soltanto una serie di interessi internazionali che vogliono continuare a mantenere 'sotto schiaffo' l’Iraq e possibilmente anche la Siria.

D. – Il premier Abadi ora indica Mosul come prossimo obiettivo. Ma è realistico aspettarsi a breve questa operazione?

R. – E’ da marzo che ci sono delle iniziative, delle azioni, delle operazioni… Mosul è senz’altro un obiettivo difficile: se Falluja ha richiesto questo tempo, Mosul nei richiederà di più. E’ soltanto possibile aspettarsi qualcosa nel breve termine, se il morale delle truppe jihadiste crolla e se la popolazione si rivolta. Ci sono dei segni di timida opposizione a Mosul – e questo è stato naturalmente amplificato dai generali iracheni – ma dalla timida opposizione arrivare ad un movimento di guerriglia o di rivolta, ce ne passa. Quindi credo che se Mosul verrà riconquista in autunno sarebbe già un successo veramente notevole.

D. – Con il Califfato in difficoltà dobbiamo aspettarci i colpi di coda di gruppi jihadisti anche su obiettivi occidentali?

R. – Finora noi non abbiamo avuto combattenti dell’Is spediti apposta nei Paesi occidentali: abbiamo avuto persone di fede estrema, che si sono decisi a fare degli attentati, che però erano ispirati ma non erano assolutamente controllati né da Raqqa né da altre centrali territoriali del terrorismo jihadisti. Quindi sì è possibile, perché questo fa parte - purtroppo - della dinamica di una guerra: quindi quando c’è un insuccesso pesante si cerca di ricoprirlo con una vernice propagandistica da altre parti. Però bisogna sempre mantenere il senso della prospettiva. Ebbene, dobbiamo saper affrontare anche questo tipo di sfida senza esagerare quello che succede. Pur avendo rispetto per tutte le vite umane, bisogna saper tenere la linea del fronte esattamente come lo fanno gli iracheni e i siriani, che stanno combattendo contro questa invasione terroristica.

D. – Intanto sul fronte siriano ci si continua a dividere sul ruolo di Assad: Arabia Saudita e 51 diplomatici americani sono tornati a chiedere ad Obama una linea più dura con il Presidente siriano…

R. – E’ ovvio il senso di questa richiesta, ma è altrettanto chiaro che complicare una transizione politica, che poi porti all’uscita del regime passato, non serve ad accorciare i tempi della guerra. Questo non è quello che sta facendo l’Alto Rappresentante dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura; e questo non è quello che serve nemmeno ai siriani. Però è chiaro che nel gioco politico ognuno tenta di tirare l’acqua al suo mulino… Voler continuare una guerra per procura è una cosa che non fa che aggravare le situazioni della regione, a danno anche dei governi che le stanno promovendo,  perché aumentano l’instabilità sociale anche al loro interno.








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